Corte di cassazione – Sezione I civile – sentenza 18 novembre 2013 n. 25843. La separazione va addebitata alla moglie se è provato che sia affetta da “shopping compulsivo”. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 25842/2013, confermando la sentenza della Corte di appello di Firenze. La Ctu disposta nel giudizio di merito aveva, infatti, accertato “l’utilizzo da parte della donna di denaro sottratto ai familiari ed ai terzi, per soddisfare la propria esigenza di effettuare acquisti sempre più frequenti e dispendiosi di beni mobili, quali vestiti, borse, gioielli, spendendo somme di volta in volta più ingenti”. Al test di “Rorscharch” poi aveva manifestato “una nevrosi caratteriale repressa che ha indotto il consulente, sulla base del pregresso comportamento, a formulare una diagnosi di ‘shopping compulsivo’, caratterizzato da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili”. Per il resto la donna appariva “lucida ed orientata nei parametri spazio temporali nei confronti delle persone e delle cose, disponibile al colloquio, curata nell’aspetto”, oltre a essere “perfettamente conscia della sua patologia”, per cui è stata esclusa la non imputabilità, che pure può conseguire ad alcune forme di nevrosi. Secondo i giudici dunque i comportamenti riscontrati “configurano violazione dei doveri matrimoniali, ai sensi dell’art. 143 c.c.”.