Corte di Cassazione, sez. I sentenza 24 febbraio 2014 n. 4393. La Corte di appello, avverso la sentenza di primo grado, aveva respinto la domanda del cliente, rilevando che il giudizio dovesse riguardare l’intero triennio del rapporto e non solo l’ultimo anno. Di tutt’altro avviso la Corte di Cassazione: “una valutazione globale della gestione, quasi a compensare perdite e guadagni, non è giustificata in quanto ciò che conta è la persistenza del comportamento diligente del gestore”. La Corte nega la compensazione: “se in un dato segmento temporale della gestione è dato rinvenire un comportamento gravemente colposo perché ispirato ad un criterio prudenziale, in violazione degli obblighi assunti, riducendo la quota azionaria dell’investimento (oscillante dal 3,21% al 13,47% a fronte del limite massimo stabilito del 30%) e determinando una redditività di gran lunga inferiore a quella realizzabile” non si poteva sostanzialmente valutare quel comportamento unitamente alla gestione dei due anni precedenti, con conseguente compensazione con i migliori risultati conseguiti nei 24 mesi passati. “L’obbligo del gestore è di curare al meglio gli interessi del cliente … per tutta la durata del rapporto … che il gestore vi abbia fatto fronte molto bene in un certo arco di tempo, consentendo al cliente di realizzare i guadagni insperati, non implica certo che quell’obbligo cessi per il periodo successivo”. In ultima analisi, il cliente ha diritto di pretendere in ogni momento che il gestore gli assicuri il miglior rendimento possibile, e nulla esclude che lo stesso gestore, dopo aver adempiuto correttamente da principio il proprio obbligo, in un momento successivo venga invece meno ai suoi doveri: il che ovviamente comporta il diritto del cliente al risarcimento dei danni dipendenti causalmente da tale inadempimento.
La troppa prudenza della banca può comportare un danno da risarcire.
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