Corte di cassazione, Sezione lavoro, 27 maggio 2014 n. 11831. La Corte ha stabilito che una esposizione alle polveri di amianto per almeno dieci anni, superiore al limite consentito, sia pure in misura inferiore, protrattasi per altri sette anni, possa costituire un valido nesso di causalità tra la contrazione della malattia e l’esposizione alle polveri. I fumi di saldatura hanno un apporto sinergico rispetto alla esposizione alle fibre di amianto e alla stessa saldatura del ferro. Laddove il datore di lavoro ometta di adottare le misure idonee a prevenire o limitare efficacemente la polverosità delle operazioni implicanti la manipolazione dell’amianto e il rischio di inalazione dei fumi. Non rileva la eziopatogenesi (analisi del processo di insorgenza di una patologia e del suo sviluppo) lavorativa della neoplasia polmonare, essendo provata la mancata adozione di misure idonee a prevenire o limitare efficacemente la polverosità delle operazioni implicanti la manipolazione dell’amianto e il rischio di inalazione di fumi di saldatura. In questa particolare fattispcecie, la Corte ha ritenuto persino irrilevante l’argomento del fumo da sigaretta, essendo cessato quasi tre decenni prima da parte del lavoratore. Esclusa infine anche la “rilevanza causale esclusiva” della esposizione ad analoghi fattori patogeni avvenuta presso precedenti datori di lavoro, che rileva al massimo una coobbligazione solidale, rispetto alla quale il datore di lavoro può esercitare azione di regresso ex art. 1299 cod. civ.
Carmine Lattarulo