Corte di Cassazione, Sezione III, 26 maggio 2014, n. 11657. La più recente giurisprudenza è andata ponendo in evidenza, su questo punto, due aspetti di fondamentale importanza: da un lato il concetto di prevedibilità dell’evento dannoso e dall’altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. La Corte ha più volte definito il concetto di prevedibilità come concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perché la situazione di rischio è percepibile con l’ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, le quali si pongono, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato). Ma anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 cod. civ., con diverse e più gravi regole probatorie a carico del danneggiante, la Corte ha evidenziato che all’obbligo suddetto “fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”; sicché, quando “la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento” (sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell’evento si veda pure la sentenza 5 dicembre 2008, n. 28811). La responsabilità civile conseguente ai danni riportati dai bambini all’interno di un parco giochi è stata sostenuta dalla Casszione in altre circostanze. Sono da richiamare, in proposito, la sentenza 6 agosto 1997, n. 7276, che riguardava il caso di un minore caduto da un’altalena in un giardino comunale, nonché la sentenza 21 maggio 2013, n. 12401, relativa alla diversa ipotesi di una caduta dal dondolo di una giostra collocata nel parco giochi all’interno di un ristorante. Nella prima pronuncia la Corte ha escluso la responsabilità del Comune, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sul semplice rilievo che l’altalena, pur presentando in astratto qualche elemento di pericolosità, era comunque adeguata agli standard dei manufatti del genere destinati ai parchi giochi. La seconda sentenza, invece, ha stabilito che la messa a disposizione di un parco giochi, a perfetta regola d’arte, da parte del titolare di un ristorante non implica, a carico di costui, alcun obbligo di sorveglianza sui minori che usano dette attrezzature. In entrambi i casi, peraltro, la Corte ha affermato che l’utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi – a meno che non risulti provato che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto – non si connota, di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti. Nella sentenza in commento, il piccolo aveva circa tre anni e mezzo di età e cadde dallo scivolo intorno alle ore 23,30. Non risulta da alcun elemento che lo scivolo fosse in cattivo stato di conservazione o comunque dotato di un qualche specifico elemento di pericolosità. La sentenza impugnata della Corte di Appello osserva soltanto che lo scivolo era “ubicato all’interno di un’aiuola in terra battuta, coperta da uno strato assai rarefatto di sabbia tufacea, con radi cespugli erbosi” e che ai piedi dell’attrezzo c’era una concavità, priva di qualsiasi accumulo di terriccio o di sabbia. Da tali elementi essa trae la conclusione che la durezza dell’impatto certamente poteva avere causato il danno lamentato dai genitori del bambino, tanto più che il Comune avrebbe dovuto prevedere il rischio approntando un adeguato quantitativo di sabbia ai piedi dello scivolo, non potendo pretendere “un elevato contributo di attenzione ed una perfetta perizia da un bambino”. In tal modo, però, la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell’art. 2043 cod. civ., non avendo fatto corretta applicazione dei principi circa la prevedibilità dell’evento dannoso. Infatti, la Corte ha osservato che la caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di diligenza. Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca o – come dice la sentenza in esame – una conca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l’evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato – nel caso, degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino – possa avere un’efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell’art. 1227 del codice civile, assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell’evento. In altri termini, un genitore (o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino così piccolo, in ora notturna (e perciò priva di luce solare) in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c’è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell’altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l’esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
Carmine Lattarulo