Cassazione Civile Sezione Lavoro 17 dicembre 2014 n. 26590.La Suprema Corte ha rilevato che in tema di quantificazione dei danni non patrimoniali si possa evidenziare la necessità di una drastica riduzione dell’applicazione delle poste liquidatorie indicate nelle tabelle normative (di cui all’art. 13 del d.lgs n.38 del 2000 e agli artt. 138 e 139 del d.lgs n.209 del 2005 e successive modifiche) o in quelle di diversa natura, come le tabelle del Tribunale di Milano, la cui applicabilità in giudizio ha trovato riconoscimento anche a livello di giurisprudenza di legittimità, perchè le tabelle di Milano garantiscono una unità di trattamento di riferimento al criterio di liquidazione. Le suddette considerazioni hanno indotto – specialmente in settori come quello giuslavoristico in cui non di rado si assiste alla lesione di diritti primari dei lavoratori aventi copertura costituzionale – ad auspicare un progressivo allargamento dell’area della risarcibilità dei danni non patrimoniali, quali quelli morali, ed alla formulazione di un catalogo di diritti inviolabili al fine di garantire una piena tutela della integrità sia fisica che morale della persona, che quale espressione primaria della dignità umana, viene tutelata dall’art. 2 Cost. e dall’art. 1 della Carta di Nizza (che antepone la dignità finanche alla vita) ed ora dal Trattato di Lisbona ratificato dall’Italia con la legge 2 agosto 2007 n. 290. Alla stregua delle svolte riflessioni può affermarsi che il “principio della personalizzazione del danno non patrimoniale” e, in primo luogo, del danno morale soggettivo per richiedere un’attenta valutazione delle modalità delle singole ed individuali situazioni esistenziali in cui versa il danneggiato e per richiedere, altresì, un esame delle possibili ricadute delle sofferenze sulla salute anche psichica dello stesso danneggiato ha portato ad un graduale “declinio delle tabelle” ed a rendere la materia in esame poco permeabile ai criteri di quantificazione delle summenzionate tabelle per essere queste volte ad equiparare – al fine di garantire in tutto il territorio nazionale un uguale trattamento nella loro liquidazione – danni che, invece, per loro natura, devono rimanere differenziati. Detti danni, infatti, in quanto non omologabili sulla base di indici standars di liquidazione ed in quanto non suscettibili di essere risarciti – in ragione di una propria specifica natura – nel “loro preciso ammontare” sono assoggettabili da parte del giudice, alla stregua di quanto disposto dagli artt. 1226 e 2056 cc, unicamente ad una valutazione equitativa, che deve fare riferimento a criteri funzionalizzati alla “personalizzazione” del danno, in linea con i dicta giurisprudenziali più volte ribaditi, con i quali è stato rimarcato il dovere del giudice del merito di dare conto dei criteri di valutazione equitativa e del percorso logico che ha condotto al risultato finale della liquidazione,in ordine al quale deve considerare tutte le circostanze del caso concreto e, specificamente – quali elementi di riferimento pertinenti – l’attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato, la gravità delle lesioni e degli eventuali postumi permanenti subiti. Per gli enunciati principi il giudice di merito, pur non essendo tenuto, nel liquidare equitativamente il danno non patrimoniale, ad una motivazione minuziosa e particolareggiata, è obbligato, però, a perseguireuna “personalizzazione” del danno, che passi attraverso la individuazione di criteri valutativi parametrata alla specificità del caso esaminato e, conseguentemente, dando il dovuto rilievo anche alla natura ed alla entità delle sofferenze ed alle consequenziali ricadute sul vivere quotidiano del danneggiato.
Avv. Carmine Lattarulo