Cassazione Penale Sezione V 17 dicembre 2014 n. 52411. Nella morte di un feto, ascritta a complicanza del funicolo, riscontrata al momento della nascita, consistita nell’avvolgimento del funicolo attorno al tronco del feto, sono stati individuati dalla Suprema Corte, sezione penale, specifici profili di negligenza ed imperizia nella condotta del sanitario. Infatti, a fronte di ripetuti segnali di sospetto delle complicanze del funicolo, presenti in ben due tracciati nella disponibilità dell’imputato, ometteva di intraprendere la doverosa condotta, costituita da un monitoraggio intermittente, consigliato, in tali casi, dalle linee guida nazionali, in quanto idoneo ad evidenziare un eventuale inizio di sofferenza fetale. Si rilevi sin da subito che l’accertamento della colpa in ambito penale ubbidisce a criteri (“oltre ogni ragionevole dubbio”) del tutto diversi in ambito civilistico (“più probabile che non” = dal 51%, la domanda viene accolta!). Ciò nonostante, pur davanti ad un filtro di maggiore rigore, la Corte conferma un consolidato e condivisibile orientamento secondo il quale l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi (Cass. Pen. sez. IV, 14/02/2013, n. 13542), in modo da individuare la terapia più confacente al caso. Di conseguenza, ove il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell’erronea posizione diagnostica iniziale. E ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell’immediato futuro, a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente. Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, comportando l’esito assolutorio del giudizio l’eventuale insufficienza, contraddittorietà ed incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo. Nella ricostruzione del nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento lesivo, dunque, come è stato opportunamente affermato in un condivisibile arresto della Suprema Corte, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi concernenti la “causa” dell’evento (morte o lesioni del paziente), giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia è poi possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare, avvalendosi delle leggi statistiche o scientifiche e delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), l’evento lesivo “al di là di ogni ragionevole dubbio” sarebbe stato evitato o si sarebbe verificato, ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In conclusione, può, dunque, affermarsi che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta credibilità razionale, nel senso che l’ipotesi scientifica o la massima di esperienza generalizzata devono avere un elevato grado di conferma e le ipotesi alternative devono essere ragionevolmente escluse, dovendosi ritenere sussistente il suddetto nesso di causalità, quando risulti accertato, all’esito di una valutazione probatoria condotta, conformemente al principio di controfattualità, sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbeverificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva.
Avv. Carmine Lattarulo