Cassazione Civile Sez. III 20 gennaio 2015 n. 811. La sentenza, breve e concisa, ha il pregio di porre una netta differenziazione nell’ambito del danno tanatologico (inteso come danno derivante dalla percezione della lucida attesa della morte nel lento spegnersi della vita, trasmissibile iure successionis), tra danno biologico terminale e danno morale terminale. Ricordiamo che con sentenza del 23 gennaio 2014 n. 1361, la III Sezione della Suprema Corte aveva finalmente stabilito che costituisce danno non patrimoniale il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento e che è altro e diverso dal danno alla salute e dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale della vittima. Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e quindi anteriormente all’exitus, costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell’irrisarcibilità del danno evento e della risarcibilità dei soli danni conseguenza. Ebbene con la sentenza di oggi, la Corte di Cassazione raggiunge un nuovo e definitivo approdo: il danno derivante dalla consapevolezza dell’incombere della propria fine (morale) è del tutto svincolato da quello più propriamente biologico e postula una ben diversa valutazione sul piano equitativo, sub specie di una più corretta valutazione della intensissima sofferenza morale della vittima. Non può pertanto, liquidarsi una somma “del tutto irrisoria”.
Avv. Carmine Lattarulo