Cassazione Civile Sezione III 7 maggio 2015 n. 9249. La sentenza si distingue per essere tanto breve quanto incisiva su alcuni principi dell’ordinamento, emessi come una sorta di spot. Trae dalla vicende di un paziente morto per cattiva diagnosi, per affermare il principio secondo il quale il danno, richiedendo nozioni mediche, esige di norma l’ausìlio di un consulente tecnico, a meno che il giudice non ritenga di acquisire da sé le cognizioni tecniche per l’accertamento di questo tipo di pregiudizio. Va da sé, quindi, che le prove che richiedono nozioni di carattere scientifico non potranno certamente essere dimostrate attraverso testimoni. La Corte coglie l’occasione per enunciare un altro importante principio, tanto logico, quanto sovente ignorato: la quantificazione del danno è deduzione utile ma non necessaria; quel che unicamente rileva è che sia descritto l’ubi consistam del danno. Ennesimo e definitivo dictum della Corte è il seguente: il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta (Cass. Civ. 29/03/1963 n. 789; 20/10/1964 n. 2631; 05/10/1964 n. 2505).
Carmine Lattarulo