Corte di Cassazione Sezione III 19 febbraio 2016 n. 3261: sul Ministero grava un obbligo di controllo, di direttive e di vigilanza, mentre la struttura ospedaliera risponde soltanto nelle attività di tracciabilità interna del sangue, non anche quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale.
Il caso.
Contratto il virus di epatite C, a seguito di emotrasfuzione di sangue in occasione di intervento chirurgico, la paziente convenne in giudizio la casa di cura ed il Ministero della sanità. Tribunale e Corte di appello rigettavano la domanda.
La decisione.
La Corte di Cqassazione a Sezioni Unite (in particolare sentenze n. 576 e 581 del 2008) aveva inquadrato il problema della conoscenza dei virus e dei test rivelatori nell’ambito della c.d. causalità adeguata o regolarità causale: saranno efficienti solo quelle cause che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiono del tutto inverosimili. Conseguentemente, ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva o omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale ha agito con metro di valutazione delle migliori conoscenze scientifiche del momento. A seguito di questo teorema, le Sezioni Unite affermarono che sul Ministero grava un obbligo di controllo, di direttive e di vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico a partire dal 1978 (data di conoscenza dell’epatite B), con conseguente esclusione della imprevedibilità.
Non è tuttavia responsabile la casa di cura. Il Supremo Collegio premette che la struttura si impegna a fornire al paziente una prestazione articolata, definita genericamente di “assistenza sanitaria”, che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi c.d. di protezione ed accessori, tra i quali quelli concenrnenti la identifìcabilità del donatore e del centro trasfusionale di provenienza, cd. tracciabilità del sangue (Sez. Un. n. 577 dei 2008; n. 75497 del 2012, nonché Sez. Un. 582 del 2008). Questa responsabilità sussiste quando si tratti di attività svolta dalla casa di cura (utilizzo dei centri preposti alla fornitura, tracciabilità e controllo dell’effettuazione da parte del fornitore, test prescritti), giammai quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale. Tanto comporterebbe, secondo la Cassazione, complesse scelte gestionali, anche di notevole impatto economico, sempre autonomamente possibili, ma non certamente esigibili come contenuto della diligenza qualificata dalla peculiarità della attività svolta.
Avv. Carmine Lattarulo