Cassazione Penale Sezione IV 8 marzo 2016 n. 9559: occorre il rispetto della regola della proporzionalità dell’ardore agonistico alla vicenda sportiva; l’eventuale violazione delle regole del gioco è evenienza nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell’arbitro la risoluzione dell’antigiuridicità, che non tracima dall’ordinamento sportivo a quello generale, sempre che il fatto non sia connotato da violenza trasmodante al finalismo dell’azione sportiva.
Il caso.
Al 93° minuto, un calciatore, impossessatosi del pallone, aveva dato vita ad un veloce contropiede della squadra ospitata, spingendo davanti a sé la sfera, con l’intento di guadagnare prestamente l’area di rigore, ma un avversario, con eccessiva violenza, sferrava un calcio alla gamba dell’avversario, causandogli lesioni gravi, consistite nella frattura della tibia sinistra. Il Giudice di pace giudicò l’imputato colpevole, mentre il Tribunale, confermata l’imputazione, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il giocatore infortunato ricorreva in cassazione.
La decisione.
La sentenza si segnala per confermare, ma soprattutto per riassumere, precedenti arresti. La Corte di cassazione aderendo all’opinione comune secondo la quale gli eventi lesivi, causati nel corso d’incontri sportivi e nel rispetto delle regole del gioco, restano scriminati per l’operare della accettazione del rischio consentito, ha escluso l’operatività di una tale scriminante, con la conseguente antigiuridicità del fatto, quando: a) si constati assenza di collegamento funzionale tra l’evento lesivo e la competizione sportiva; b) la violenza esercitata risulti sproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco e alla natura e rilevanza dello stesso (a tale fine vale considerare se la partita sia importante, ovvero amichevole, o, addirittura, si tratti di allenamento); c) la finalità lesiva costituisce prevalente spinta all’azione, anche ove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regole dell’attività.
Per converso, la Corte ha escluso l’antigiuridicità e, quindi, il risarcimento: a) ove si tratti di atto posto in essere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento e l’evento di danno sia la conseguenza della natura stessa dell’attività sportiva, che importa contatto fisico; b) ove, pur in presenza di una violazione della norma regolamentare, debba constatarsi assenza della volontà di ledere l’avversario e il finalismo dell’azione correlato all’attività sportiva (Cass. Civ. Sez. 3 8.8.2002 n. 12012).
In applicazione di queste regole, si è escluso che possa invocarsi sempre la scriminante, perchè questa non potrebbe giungere fino a giustificare lesioni irreversibili dell’integrità fisica e finanche la morte; nello stesso tempo, non sono state considerate penalmente rilevanti quelle condotte che, pur commesse in violazione del regolamento, non risultino esuberare l’area del rischio accettato.
Si consideri, infatti, che la forza fisica è implicata necessariamente (es. pugilato, lotta, ecc.) o anche solo eventualmente (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, ecc.): la forza fisica genera un’attività rischiosa consentita dall’ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischio, appunto, sia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sotto forma di regole precauzionali, che dall’imposizione di obblighi di cure e trattamento a carico delle società sportive operanti. Conseguentemente, il rischio accettato non ricomprende le azioni volontarie poste al di fuori dell’azione di gioco o anche solo non finalizzate alla predetta azione e neppure quelle tali da apparire sproporzionate ex ante, in quanto ne sia soggettivamente percepibile la lesività delle stesse, mentre restano coperte dalla scriminante le attività lesive volontarie in competizioni sportive a violenza necessaria o inevitabile (il pugilato, ad esempio), salvo il rispetto delle regole cautelari essenziali poste a difesa del bene della vita stessa e al fine di impedire sfoghi cruenti intollerabili per l’opinione assolutamente prevalente dei consociati (per restare al pugilato, basti pensare ai colpi vietati – sotto la cintola, sulla nuca – con il contendente al tappeto, o dopo che l’arbitro ne ha constato l’incapacità di difendersi).
Tuttavia, le suddette regole non sembrano disciplinare in concreto tutte le fattispecie possibile, tanto che la Corte è consapevole del fatto che il rischio consentito non sia misurabile in astratto: il perimetro di esso è la risultante di un attento vaglio del caso concreto.
Il Supremo Collegio, quindi, tira le somme: solo nelle discipline a violenza necessaria o indispensabile la scriminante copre azioni dirette a ledere l’incolumità del competitore (salvo il rispetto della disciplina cautelare di settore); diversamente la scriminante non opera se resti accertato che lo scopo dell’agente non era quello di prevalere sul piano sportivo, ma di arrecare, sempre e comunque, una lesione fisica o, addirittura, procurare la morte del contendente. Occorre il rispetto della regola della proporzionalità dell’ardore agonistico al rilievo della vicenda sportiva, pur dovendo trovare mitigazione, un tale limite, nell’inevitabile coinvolgimento psico-fisico procurato dalla contesa sportiva, idoneo ad allentare la capacità di giudizio e d’inibizione dell’agente: l’eventuale violazione delle regole del gioco è evenienza nota ed accettata dai competitori, i quali rimettono alla decisione dell’arbitro la risoluzione dell’antigiuridicità, che non tracima dall’ordinamento sportivo a quello generale, ma l’esimente non opera ove il fatto sia connotato da violenza estranea e trasmodante al finalismo dell’azione sportiva.
Avv. Carmine Lattarulo ®
Penalmente perseguibile il fallo di gioco sproporzionato ed estraneo all’azione sportiva.
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