Cassazione Civile Sezione III 20 aprile 2016 n. 7768: il danneggiato deve provare il contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, mentre deve solo allegare l’inadempimento del medico; il medico deve dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero, che vi è stato e non è causa del danno, ovvero, dare la prova del fatto impeditivo; l’incertezza della causa si traduce a scapito del medico.
Il caso.
I medici di una struttura sanitaria omettevano di valutare, con la necessaria diligenza, i dati clinici ed adottavano la decisione (rivelatasi erronea) di procedere al parto naturale, nonostante questo presentasse rischi elevati (che si concretizzavano subito in una grave patologia per il neonato). I genitori del minore ricorrevano in giudizio ed ottenevano in primo e secondo grado il risarcimento dei danni, la rendita vitalizia, nonchè un risarcimento dei danni conseguentemente sofferti dai suindicati genitori del minore. Medico e struttura sanitaria ricorrevano in Cassazione.
La decisione.
In tema di accertamento del nesso causale, in materia civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (ex multis, Cass. Sez. Un. 11/1/2008 n. 576; Cass. 16/10/2007 n. 21619; Cass. 19/9/2015 n. 19213). Tuttavia, questa regola è un punto di partenza: infatti, l’adozione del criterio della probabilità relativa o del “più probabile che non” si delinea in un’analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, sicché la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto; il meccanico e semplicistico ricorso alla regola del 51% deve tenere conto di una compiuta valutazione dell’evidenza del probabile (Cass. 21/7/2011 n. 15991, Cass. 29/2/2016 n. 3893). Incombe al sanitari dimostrare la riconducibilità dell’evento dannoso verificatosi ad una causa non imputabile alla loro condotta colposa (nella fattispecie, in una grave atrofia frontale residuata a un neonato, seguivano trascuratezze nel monitoraggio del feto, quindi già nella fase antecedente alla sua nascita). Nella applicazione dei principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità [in base ai quali il paziente deve provare il contratto e allegare 1’inadempimento del sanitario, restando a carico del medico e/o struttura sanitaria l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile (Cass. 29/2/2016 n. 3893; Cass. 22/2/2016 n. 3428)], in ogni caso di “insuccesso” incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (Cass. Sez. Un. 11/1/2008 n. 577; Cass. 13/4/2007 n. 8826; Cass. 28/5/2004 n. 10297; Cass. 21/6/2004 n. 11488), provare che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (Cass. 9/10/2012 n. 17143), bensì ad evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza.
In altri termini, lo schema sarebbe il seguente: il paziente danneggiato deve provare il contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, mentre deve solo allegare l’inadempimento del medico; è il medico che deve dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero dare la prova del fatto impeditivo (Cass. 28/5/2004 n. 10297; Cass. 21/6/2004 n. 11488), ovvero che pur sussistendo il proprio inadempimento, non è stato causa del danno (Cass. 30/9/2014 n. 20547; Cass., 12/12/2013 n. 27955; Cass. Sez. Un. 11/1/2008 n. 577) in quanto non ascrivibile alla sua condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (Cass. 9/10/2012 n. 17143); dovendo altresì indicare quale sia stata l’altra e diversa causa, imprevista ed imprevedibile né superabile con l’adeguata diligenza qualificata, che l’ha determinato (Cass. 27/10/2015 n. 21782; Cass. 29/9/2015 n. 19213; Cass. 6/5/2015 n. 8989; Cass. 21/7/2011 n. 15993; Cass. 7/6/2011 n. 12274; Cass. 29/9/2009 n. 20806; Cass. 11/11/2005 n. 22894; Cass. 24/5/2006 n. 12362; Cass. 19/4/2006 n. 9085; Cass. 28/5/2004 n. 10297). La naturale e ovvia conseguenza è che ove tale prova liberatoria non riesca a dare il medico, rimane soccombente, in applicazione della regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c. di ripartizione dell’onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (Cass. 9/11/2006 n. 23918; Cass. 21/6/2004 n. 11488; Cass. Sez. Un. 23/5/2001 n. 7027; Cass. Sez. Un. 30/10/2001 n. 13533; Cass. 13/9/2000 n. 12103), o ancor più propriamente sul criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta (Cass. 6/5/2015 n. 8989; Cass. 20/10/2014 n. 22222).
Identico risultato esita nell’ipotesi in cui all’esito del giudizio permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, ovvero la causa rimanga ignota (Cass. Sez. Un. 11/1/2008 n. 577; Cass. 12/12/2013 n. 27855; Cass. 3/9/2014 n. 20547; Cass. 2015 n. 18307), non potendo invero le conseguenze dannose ridondare a scapito del paziente ma dovendo gravare sul presunto responsabile che la prova liberatoria non sia riuscito a fornire (Cass. 27/10/2015 n. 21782; Cass. 29/9/2015 n. 19213; Cass. 20/10/2014 n. 22222; Cass. 20/2/2006 n. 3651).
Avv. Carmine Lattarulo ®
Il paziente dimostra la malattia e allega le colpe, il medico deve provare di non essere responsabile.
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