Cassazione Civile Sent. Sez. I 21 aprile 2016 n. 8089: le informazioni devono anche descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari e rappresentarne la rischiosità.
Il caso.
Un promotore finanziario assumeva l’incarico avente l’obiettivo d’investimento di raddoppiare alla scadenza il capitale investito senza intaccarlo e con garanzia di pronta liquidità dell’investimento; questi aveva altresì rappresentato l’assenza di qualsiasi rischio di perdita del capitale originario; tuttavia, le gestioni accumulavano ingenti perdite.
La decisione.
Secondo il Supremo Collegio, la formula “le gestioni non offrono garanzia di mantenere invariato il valore degli investimenti” è clausola di stile, in quanto viola gli artt. 21 e 23, ultimo coma, T.U.F, (onere della prova sull’adempimento dell’obbligo di diligenza in ordine alle informazioni) e 28 Reg. Consob n. 11522 del 1998. In particolare, l’art. 28 Consob esclude la possibilità di ricorrere ad un’informativa tipizzata e standardizzata. Deriva da quanto precede che una siffatta clausola non consente di assolvere all’onere della prova stabilito nell’art. 23 T.U.F.
Inoltre, secondo la Suprema Corte, se il cliente non è un operatore qualificato o professionale, incombe sulla banca l’obbligo di fornire informazioni adeguate secondo lo stesso parametro applicabile a qualsiasi altro risparmiatore. Tra le specifiche informazioni che l’intermediario deve fornire ve ne sono due da tenere distinte:
1) la specificazione delle caratteristiche della gestione, ovvero le informazioni circa gli specifici profili di rischio che dall’operazione possono derivare all’investitore anche in termini di perdite di capitale;
2) l’espressa indicazione delle operazioni che l’intermediario non può compiere senza la preventiva autorizzazione dell’investitore con eventuale indicazione dell’assenza di tale restrizione ex art. 37 lett. a-b.
Da tale descrizione risulta evidente che il legislatore abbia tenuto differenziate le due tipologie d’informazioni ritenendole entrambe necessarie, con la conseguenza che la descrizione delle operazioni da svolgere non può valere anche in ordine alla descrizione delle caratteristiche della gestione.
Tale profilo deve formare oggetto di una specifica informativa ed essere idoneo a fornire all’investitore la consapevolezza del sostanziale grado del rischio che va assumendo con la gestione. L’indicazione espressa del grado di rischio costituisce certamente il primo e fondamentale elemento che tipizza e caratterizza il servizio di gestione in guanto rappresenta il dato che più di ogni altro è in grado di assicurare consapevoli scelte d’investimento da parte degli investitori. Tale indicazione, del resto, è obbligatoriamente imposta dal regolamento Consob n. 15122 del 1998 nell’allegato 3 parte “C”.
Il grado di rischio delle singole linee di gestione è sempre determinabile attraverso il parametro oggettivo (c.d. benchmark) che l’art. 42 Consob impone obbligatoriamente d’indicare nei contratti di gestione. Il suo scopo è d’identificare il prodotto offerto dal fondo comune d’investimento. La Cassazione aveva già affermato che in tema di contratti di intermediazione finanziaria, la qualità di operatore qualificato ha un preciso contenuto tecnico giuridico, espressamente disciplinato dall’art. 31, comma 2, del regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522, e non integrato dal mero riferimento all’entità del patrimonio dell’investitore ed alle sue attitudini imprenditoriali (Cass. 17333 del 2015). Pertanto, secondo l’art. 21, comma 1, lettere a) e b) T.U.F. ” nella prestazione dei servizi di investimento (tra i quali rientrano le gestioni patrimoniali ex art. 1 comma 5 lettera d n.d.r.) e accessori, i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrita’ dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”; mentre, secondo l’art. 28, commi 1 e 2, del Reg. Consob n. 11522 del 1998, ” prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sul rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3. 2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.
Sebbene l’art. 31, primo comma del citato reg. Consob prescriva espressamente che gli obblighi informativi previsti dal precedente art. 28 non si applichino nei confronti degli investitori qualificati e professionali, essendo invece vigenti (salvo per alcuni di essi diverso specifico patto negoziale) per tutte le altre tipologie d’investitori, emerge tuttavia come l’intermediario sia tenuto nei confronti di ciascun investitore all’assolvimento dell’obbligo di “fornire” informazioni specifiche sulla tipologia ed i rischi degli investimenti proponibili: il profilo dell’investitore riveste un indubbio rilievo al fine di valutare l’adeguatezza delle informazioni acquisite e fornite dall’intermediario ma non può determinare l’eliminazione dell’obbligo legale d’informazione a carico dell’intermediario o la sua riconduzione entro clausole di stile, dovendosene valutare l’assolvimento in primo luogo in considerazione della natura ed entità (nella specie estremamente significativa) degli investimenti nonché della tipologia e della rischiosità dei medesimi.
L’obbligo informativo risulta, così, composto, secondo il chiaro disegno della Corte, di un contenuto oggettivo ed uno soggettivo. Il contenuto oggettivo delle informazioni relative all’investimento non può essere determinato esclusivamente alla stregua del profilo soggettivo dell’investitore, quando quest’ultimo non sia operatore professionale, ma deve essere anche caratterizzato da un nucleo di dati oggettivamente riferibili agli investimenti che si intendono proporre contrattualmente ed eseguire. Il profilo soggettivo condiziona la valutazione dell’assolvimento dell’obbligo informativo, costituendo uno degli indicatori dell’adeguatezza, ma non lo esaurisce.
La Suprema Corte emette, quindi, il seguente principio: “nei contratti d’intermediazione finanziaria l’assolvimento degli obblighi informativi posto a carico dell’intermediario non può esaurirsi nella indicazione contrattuale del massimo rischio contrattualmente previsto, né fondarsi sull’astratta valutazione della possibilità per l’investitore di assumere autonomamente ed aliunde tali informazioni quando non ricorra la qualifica di investitore professionale, avendo invece ad oggetto una condotta positiva diretta specificamente a fornire le informazioni idonee a descrivere la natura, la quantità e la qualità dei prodotti finanziari ed a rappresentarne la rischiosità; nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli, gli obblighi di comportamento normativamente posti a carico dell’intermediario (art. 36 – 46 Reg. Consob n. 11522 del 1998) prevedono anche la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale, essendo, tale prescrizione vincolante, prevista nell’Allegato 3 sub C) del Regolamento, dettato al fine d’indicare le modalità di esecuzione dell’obbligo, sancito nell’art. 42 del Regolamento, di fornire all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi alle singole gestioni”.
Avv. Carmine Lattarulo ®