Cassazione Civile Sezione VI 4 maggio 2016 n. 8896: se tale reddito è modesto, ma permanente, non potrà ottenere l’indennizzo del triplo della pensione sociale, perchè, secondo la Corte, tale reddito, benchè modesto, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato. Quindi, il danno alla capacità di lavoro si lìquida col triplo della pensione sociale quando la vittima, al momento del sinistro, ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima.
Il fatto.
Una vittima di sinistro stradale convenne in giudizio i responsabili ed il loro assicuratore, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. Tanto il Tribunale, quanto la Corte d’appello, accoglievano la domanda di risarcimento del danno da perdita della capacità di guadagno e liquidavano il relativo pregiudizio in base al reddito più alto percepito dalla vittima nei tre anni precedenti il sinistro, ai sensi dell’art. 137 comma I, cod. ass, e non sulla base del triplo della pensione sociale, ex art. 137 comma III, quindi in misura inferiore. Infatti, la vittima godeva di un reddito esiguo e pretendeva che il danno da liquidarsi dovesse essere comunque non inferiore al triplo della pensione sociale, ai sensi dell’art. 137, comma III cod. ass.. Pertanto, ricorreva in Cassazione.
La decisione.
La sentenza della VI Sezione offre un principio molto importante perchè si contrappone ad altri arresti, di segno contrario emessi dalla III Sezione (Sez. 3, Sentenza n. 7531 del 15/05/2012 e Sez. 3, Sentenza n. 17179 del 06/08/2007).
Secondo la VI Sezione, affermare che il danno da riduzione della capacità di guadagno debba essere liquidato, in ogni caso, in base al triplo della pensione sonale (oggi “assegno sociale”) tutte le volte che il danneggiato abbia un reddito a questa inferiore, sarebbe una interpretazione che trasformerebbe il risarcimento in un indennizzo. Il sistema previsto dall’art. 137 cod. ass. (almeno secondo la VI Sezione), si compendia nelle tre seguenti possibilità:
1) se la vittima ha un reddito da lavoro, è quest’ultimo che va posto a base del calcolo;
2) se la vittima non ha un reddito da lavoro, è il triplo della pensione sociale che va posto a base del calcolo;
3) se la vittima ha un reddito da lavoro saltuario, è il triplo della pensione sociale che va posto a base del calcolo.
Questo orientamento non sembrerebbe porsi di traverso neppure alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 445 del 1995, in quanto il giudice rimettente aveva posto alla Consulta questa domanda: se fosse razionale e conforme alla Costituzione che un lavoratore danneggiato, avendo un reddito inferiore al triplo della pensione sociale, potesse omettere di depositare la dichiarazione del redditi, ed invocare così il più alto risarcimento che gli sarebbe spettato in base al triplo della pensione sociale; ebbene, la Corte Costituzionale negò che ciò potesse accadere, interpretando la norma nel senso che il lavoratore danneggiato, il quale abbia un reddito inferiore al triplo della pensione sociale, vedrà liquidarsi un risarcimento coerente col reddito perduto: “al lavoratore non è consentito (…) il rifiuto di esibire le dichiarazioni fiscali allo scopo dì sottrarsi all’onere di provare il reddito effettivo invocando la liquidazione del risarcimento sulla base del reddito mimmo forfettario indicato nel terzo comma; se il lavoratore non fornisce alcuna prova, né secondo il criterio privilegiato del primo comma (…), né con i mezzi normali previsti dal secondo comma, nessun risarcimento potrà essergli liquidato a titolo di lucro cessante”.
Pertanto, il triplo della pensione sociale non costituisce una soglia minima di risarcimento. Infatti se la vittima dell’infortunio è un lavoratore, e non prova il suo reddito, “nessun risarcimento può essergli liquidato”, secondo le parole della Consulta.
Dal che discende necessariamente che se il danneggiato è un lavoratore, e prova un reddito inferiore al triplo della pensione sociale, il suo danno dovrà essere pari al reddito perduto, non al triplo della pensione sociale, altrimenti si perverrebbe all’assurdo: il lavoratore il quale abbia un reddito, ma non lo provi, non avrà diritto alcun risarcimento; quello invece che abbia un reddito, ma risulti inferiore al triplo della pensione sociale, avrà diritto ad un risarcimento pari a quest’ultima.
Pertanto, il criterio del triplo della pensione sociale può essere utilizzato per liquidare il danno patito da un soggetto percettore di reddito, quando quest’ultimo abbia un reddito modesto, ma anche esiguo o saltuario. Tuttavia se tale reddito è modesto, ma permanente, non potrà ottenere l’indennizzo del triplo della pensione sociale, perchè, secondo la Corte, tale reddito, benchè modesto, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato.
La regola iuris dettata dall’art. 137, comma 3, cod. ass., non è dunque “il danno alla capacità di lavoro si lìquida col triplo della pensione sociale se la vittima è un lavoratore dal reddito esiguo”, ma è il seguente: “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima, al momento del sinistro, ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima “.
Un ulteriore principio viene emesso, in limine, dalla VI Sezione: nella liquidazione del danno patrimoniale futuro da incapacità di lavoro il reddito della vittima da porre a base del calcolo deve essere equitativamente aumentato rispetto a quello concretamente percepito, quando sia ragionevole ritenere che esso negli anni successivi sarebbe verosimilmente cresciuto; tuttavia, la relativa valutazione deve essere compiuta dal giudice di merito in base ad elementi oggettivi che è onere del danneggiato dedurre, ed in mancanza dei quali non è consentita la liquidazione del danno in base al triplo della pensione sociale, a nulla rilevando che il reddito della vittima fosse di per sé di modesta entità.
Avv. Carmine Lattarulo