Cassazione Civile Sez. Lavoro 27 marzo 2019 n. 8580: il credito risarcitorìo della vittima si riduce non più nella misura in cui abbia ricevuto dall’assicuratore sociale indennizzi destinati a ristorare danni che dal punto dì vista civilistico possano dirsi effettivamente patiti e pagati (per poste omogenee), bensì a qualsiasi titolo ed indistintamente (per sommatoria). Decisivo è l’art. 1, comma 1126, della legge n. 145 del 2018
I fatti.
Si discute se il danno c.d. differenziale sia il risultato della differenza tra il risarcimento ottenuto dal responsabile civile e l’intera capitalizzazione della rendita dell’assicuratore sociale, ovvero solo la quota di questa capitalizzazione corrispondente a quella effettivamente pagata dal responsabile.
La decisione.
L’art. 1, comma 1126, della legge n. 145 del 2018 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), entrata in vigore 1’1.1.2019, ha introdotto significative modifiche degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965. Per effetto di tali modifiche, i commi 6, 7 e 8 dell’art. 10 citato risultano formulati nel modo seguente: “Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto. Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell’articolo 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38. Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l’indennità d’infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all’art. 39 nonché da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo”.
Sostanzialmente, la finanziaria del 2019 ha imposto, ai fini del calcolo del danno differenziale, l’adozione di un criterio di scomputo “per sommatoria” o “integrale”, anziché “per poste”, con conseguente diritto di regresso dell’Istituto per “le somme a qualsiasi titolo pagate”.
Si discute altresì se la norma abbia immediata applicazione nei giudizi in corso. La Cassazione lo esclude, stante la natura di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1126 citato, nonchè per l’assenza di una espressa autoqualificazione in tal senso di tale disposizione e sia per la tecnica legislativa adoperata che ha inserito nell’originaria formulazione previsioni atte a modificarne il contenuto. Pertanto, la norma avrebbe una portata innovativa della disciplina dettata dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965. La successione di norme giuridiche nel tempo è regolata nel nostro ordinamento dall’art. 11 delle preleggi, che fissa il principio di irretroattività. Tale principio “comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso” (Cass. n. 3845 del 2017). La Corte di Strasburgo, inoltre, ha ripetutamente affermato che, sebbene non sia vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una regolamentazione innovatíva a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, tuttavia, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della CEDU ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (pronunce 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia).
Osservazioni.
La legge (e la sentenza in commento) ha larghi profili di incostituzionalità. Infatti, come può conciliarsi l’art. 1 comma 1126 della legge n. 145 del 2018 con il divieto dell’art. 142 ultimo comma cod. ass., il quale sancisce il principio di intangibilità del diritto al risarcimento del danno biologico da parte dell’assicuratore sociale, salvo che quest’ultimo abbia indennizzato lo stesso tipo di pregiudizio?
La Consulta lo aveva già ammonito chiaramente: “l’art. 28 comma 2, 3 e 4 legge n. 990 del 1969 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non esclude che gli enti gestori delle assicurazioni sociali possano esercitare l’azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell’assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti” (Corte Costituzionale, 06/06/1989, n. 319).
Senonchè, l’art. 1 citato consentirebbe all’assicuratore sociale di toglierebbe alla vittima, in sede di surrogazione, quel danno non altrimenti risarcito, riducendo l’assicurazione sociale ad una partita di giro. Il responsabile pagherebbe un solo danno anziché due. Per effetto della norma citata, se l’Inail ha pagato alla vittima un indennizzo a titolo di ristoro di danni patrimoniali, l’Istituto avrà diritto di surrogarsi nei confronti del responsabile (e quindi dell’assicuratore) anche se detto danno patrimoniale il responsabile (e quindi dell’assicuratore) non lo ha risarcito; conseguentemente, a causa della futura rivalsa, l’assicuratore pagherebbe alla vittima un risarcimento del danno biologico aquiliano decurtato dalla sommatoria del danno biologico indennitario e del danno patrimoniale, sebbene questa ultima posta non sia stata risarcita dal responsabile.
Avv. Carmine Lattarulo (riproduzione riservata).
Il danno differenziale è il risarcimento aquiliano decurtato dalla capitalizzazione della intera rendita sociale.
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