Cassazione Civile Sez. 3 4 febbraio 2020 n. 2463: il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale non se la vittima ha reddito esiguo, bensì se ha un reddito che non esprime la sua reale capacità lavorativa.
Il fatto.
Si discute se possa farsi ricorso alla presunzione di legge di cui all’art. 137 del cod. ass. secondo la quale il danno patrimoniale non può essere liquidato al di sotto del triplo della pensione sociale, ogni qual volta il reddito sia inferiore a detta soglia (potendo, ragionando al contrario, lecitamente dubitarsi che il danneggiato non avrebbe mai potuto guadagnare di più ed in tal caso l’applicazione del triplo della pensione sociale costituirebbe un illecito arricchimento), ovvero solo quando il reddito sia, sì, inferiore a detta soglia, ma, al contempo, sia destinato a crescere, perché non rappresenta il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato.
La decisione.
Il danno da riduzione della capacità di guadagno deve essere liquidato in base al triplo della pensione sociale (c.d. «assegno sociale»), quando la misura assai modesta del reddito comprovato dalle prodotte buste paga è tale da rendere la situazione del danneggiato parificabile a quella di un disoccupato. Il fondamento normativo non sarebbe individuato dall’art. 137 cod. ass. — che si riferirebbe solo all’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore e non anche all’azione nei confronti del responsabile (Cass. 21/02/2001 n. 2512; Cass. 11/02/1999 n. 1166; Cass. 11/06/1990 n. 5672) — quanto invero dall’art. 1226 cod. civ., che impone al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa, quando lo stesso non possa essere provato nel suo preciso ammontare.
L’accertamento di postumi incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo del danneggiante di risarcire il pregiudizio patrimoniale, dovendosi, invero, dimostrare che il soggetto leso svolgesse – o presumibilmente avrebbe svolto – un’attività produttiva di reddito. Tale principio è però temperato dal rilievo per cui il ricorso al triplo della pensione sociale può essere consentito quando il giudice di merito accerti che la vittima al momento dell’infortunio godeva, sì, un reddito, ma questo era talmente modesto o sporadico da rendere la vittima sostanzialmente equiparabile ad un disoccupato (Cass. 12/10/2018 n. 25370); tuttavia questo sotto-principio va correttamente interpretato. La Cassazione (sentenza del 04/05/2016 n. 8896) aveva indicato che l’art. 137 cod. ass. non contiene alcuna regola secondo la quale se il reddito della vittima è modesto, il danno si liquida col triplo della pensione sociale; anche un reddito modesto, infatti, può essere stabile e permanente, e costituire effettivamente il massimo frutto possibile delle potenzialità produttive del danneggiato. Quindi, il corretto principio in iure sarebbe un altro: il reddito modesto o saltuario può costituire un fatto noto, dal quale risalire al fatto ignorato che il danneggiato, se fosse rimasto sano, non avrebbe continuato a percepire quel reddito per tutta la vita, ma avrebbe prima o poi beneficiato di un reddito maggiore.
In tal senso era orientata anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 445 del 24 ottobre 1995.
La Cassazione, confermando precedente orientamento (Cass. n. 8896 del 2016), detta quindi la regula iuris che non è … “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale se la vittima è un lavoratore dal reddito esiguo”, bensì è la seguente: “il danno alla capacità di lavoro si liquida col triplo della pensione sociale quando la vittima al momento del sinistro ha un reddito che non esprime la reale capacità lavorativa della vittima, e sia quindi impossibile stabilire o presumere il reddito reale della vittima”
Avv. Carmine Lattarulo ©