il silenzio serbato non può essere ritenuto contegno meramente
neutrale, ma preordinato a perpetrare l’inganno1,
allorquando corrisponda alla violazione di obblighi di comunicazione.
Come autorevolmente affermato2,
l’obbligo giuridico di parlare qualifica il silenzio in termini di
condotta attiva e denota anche l’idoneità della condotta, legata
alla violazione di un obbligo giuridico di parlare, dal quale ne
consegue l’inutilità dell’indagine sulla diligenza dell’ingannato3.
Il silenzio è sempre antidoveroso4,
non solo quando l’obbligo di comunicazione provenga da una
disposizione normativa di carattere penale, ma anche civile, come
quella dell’art. 1759 cc5,
o dell’art. 1337 cc6.
L’interpretazione della Suprema Corte sull’obbligo di buona fede
precontrattuale si orienta ormai verso un ampio riconoscimento del
diritto di informazione ex art. 1337 cc in merito alle responsabilità
precedenti la formulazione di un contratto, quale deve essere
annoverata ovviamente la transazione tra l’assicuratore ed il
danneggiato, ai sensi dell’art. 1965 cc: “la transazione è il
contratto col quale le parti, facendoci reciproche concessioni,
pongono fine a una lite già cominciata o prevengono una lite che può
sorgere tra loro”. Il contegno del deceptus
non deve, quindi, necessariamente essere indagato, ovvero allorquando
egli debba essere il destinatario di informazione, non è richiesta
in capo a questo soggetto un’attività di sollecita richiesta, quanto
invece deve esigersi una verifica della diligenza del professionista
che, esperto conoscitore delle regole, non può perorare a sua difesa
la mancanza di conoscenza delle stesse che gli si impongono. Il
principio della conoscibilità
viene superato da quello della conoscenza.
In altri termini, in forza della disciplina del Codice del consumo,
non è sufficiente che il consumatore possa ottenere l’informazione
se lo voglia, ai sensi dell’art. 1341 cc, ma è necessario che il
professionista metta a disposizione del consumatore, in modo chiaro e
comprensibile, le informazioni prescritte e necessarie per un
consenso consapevole. Non è più onere del consumatore chiedere le
informazioni, ma è un obbligo del professionista fornirle7.
Si potrà dubitare che la figura del consumatore non sia assimilabile
a quella del danneggiato, ma l’affermazione ormai incontra sempre
meno favore nella giurisprudenza di merito8.
Infatti, il legislatore italiano è intervenuto con l’art.
4 L. 29/7/2003 n. 229 nella materia assicurativa ed ha dettato i
seguenti princìpi e criteri direttivi: “a) adeguamento della
normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi
internazionali; b) tutela dei consumatori e, in generale, dei
contraenti più deboli…avendo riguardo anche alla correttezza…del
processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti
strutturali di tale servizio”. Come risulta ben evidente, entrambe
le figure nel testo legislativo sono accumanate, se non sovrapposte,
integrando la figura del danneggiato quella più vasta del
consumatore. Secondo
tali linee guida, di rango comunitario, deve ritenersi che il
rapporto giuridico che si instaura tra assicuratore e
assicurato-danneggiato è un rapporto giuridico di servizio alla
stregua di quello professionista – assicurato. Infatti, la Consulta
ha esteso la nozione di professionista a “tutti quei soggetti –
quali professionisti, piccoli imprenditori e artigiani – che in
forma individuale o anche collettiva agiscono per scopi comunque
connessi all’attività economica, quantunque senza finalità di
lucro”9
. Ne consegue, per tutto quanto fin qui esposto, che il rapporto
giuridico di servizio che normalmente si perfeziona tra assicurato,
da un lato, e impresa di assicurazione, dall’altro, rientra,
quindi, nello schema tipico del contratto tra consumatore e
professionista, con conseguente applicazione di tutta la relativa
disciplina ed, in particolare, del D.lgs. 6/9/2005 n. 206 (Codice del
consumo).
1Cass.
Pen. Sez. II 19 aprile 1991; Cass. Pen. Sez. II 18 febbraio 1988;
Cass. Pen. Sez. II 28 luglio 1985; Cass. Pen. Sez. II 14 aprile
1978.
2Cristina
Dalla in “La tutela individuale del consumatore al di fuori del
Codice del consumo in caso di pratiche commerciali scorrette”.
5Cass.
Pen. Sez. II 23 giugno 1989; Cass. Pen. 13 novembre 1997 n. 870;
Cass. Pen. 10 aprile 2000 n. 6791.
6Cass.
Pen. Sez. II 19 aprile 1991; Cass. Pen. 13 novembre 1997 n. 870;
Cass. Pen. 5 febbraio 2009 n. 19904; Cass. Pen. 19 febbraio 2009 n.
10461; Cass. Pen. 9 marzo 2009 5 giugno 2009 n. 26100.