Legittimazione ad agire e titolarità d’azione sono sovente confuse dall’interprete. E’ ius receptum della Suprema Corte che il principio secondo il quale il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam, nel suo duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire si risolve nell’accertare secondo la prospettazione dell’attore, se questi e il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, mentre non attiene alla legittimazione ma al merito della lite la questione relativa alla reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata1.
“Di difetto di legittimazione attiva è dunque lecito discorrere tutte le volte che (e solo se) si faccia valere, in sede giudiziaria, o un diritto rappresentato come altrui (un soggetto agisce in rivendica reclamando un bene che egli stesso asserisce di proprietà di un terzo), ovvero un diritto rappresentato come oggetto della propria sfera di azione e di tutela giurisdizionale al di fuori dal relativo modello legale tipico (un comodatario agisce in rivendica del bene del comodante prospettando come legittima tale azione). In altri termini, la legittimazione ad agire e a contraddire, quale condizione dell’azione, si fonda sulla prospettazione ovvero sull’allegazione fatta in domanda”2. La differenza tra difetto di legittimazione attiva e titolarità d’azione è abnorme ed assorbe, autonomamente, l’esito del giudizio. “Il difetto di titolarità passiva, poiché attiene al merito, non è rilevabile mai d’ufficio, e soggiace, per l’effetto, alle normali regole e preclusioni dettate per il processo civile nei rispettivi gradi di merito”3, affidato alla disponibilità delle parti e, dunque, deve essere tempestivamente formulato4.
1 ex pluribus Cass. 5.11.1997 n. 10843.
2 Cass. Civ. Sez. II 10 maggio 2010 n. 11284; Cass. Civ. Sez. III 09 aprile 2009 n. 8699; Cass. Civ. Sez. III 30 maggio 2008 n. 14468; Cass. Civ. 06 marzo 2008 n. 6132; Cass. Civ. Sez. I 10 gennaio 2008 n. 355; Cass. Civ. Sez. I 28 febbraio 2007 n. 4776; Cass. Civ. Sez. I 29 settembre 2006 n. 21192; Cass. Civ. Sez. III 26 settembre 2006 n. 20819; Cass. Civ. Sez. III 14 giugno 2006 n. 13756.
3 Cass. Civ. Sez. II 10 maggio 2010 n. 11284; Cass. Civ. Sez. III 09 aprile 2009 n. 8699; Cass. Civ. Sez. III 30 maggio 2008 n. 14468; Cass. Civ. 06 marzo 2008 n. 6132; Cass. Civ. Sez. I 10 gennaio 2008 n. 355; Cass. Civ. Sez. I 28 febbraio 2007 n. 4776; Cass. Civ. Sez. I 29 settembre 2006 n. 21192; Cass. Civ. Sez. III 26 settembre 2006 n. 20819; Cass. Civ. Sez. III 14 giugno 2006 n. 13756.
4 Cass. Civ. Sez. I 5 marzo 2012 n. 4304.