Non è risarcibile il presunto “danno al riposo” e al “benessere” avanzato da un avvocato che si doleva del fatto di aver dovuto lavorare per anni in una situazione di grave carenza organizzativa della giustizia a causa dei sistematici disservizi degli uffici di cancelleria e degli ufficiali giudiziari che lo avevano costretto a lavorare in condizioni di estremo disagio, sacrificando una “incalcolabile quantità di tempo, anche nei giorni festivi, per lo svolgimento di adempimenti che altri avrebbero dovuto compiere qualora vi fosse stato un normale funzionamento degli uffici”. Nulla da recriminare secondo la Corte di cassazione, sentenza n. 21725 del 4 dicembre 2012, che ha respinto il ricorso del legale ai danni del ministero della Giustizia.
Per la Suprema corte, che conferma la sentenza della Corte di Appello di Milano, l’avvocato essendo un libero professionista “può ben scegliere e decidere la quantità di impegni che è in grado di gestire in modo ragionevole”, insomma egli “può dosare … il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero”. E, dunque, ha poco pregio la doglianza del ricorrente secondo cui egli avrebbe perso un’ora e mezza al giorno. Tutto al più: “Gli esborsi che sarà chiamato a sostenere, anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, saranno posti, entro i limiti consentiti dalle tabelle professionali, a carico dei clienti che abbiano chiesto di avvalersi della sua opera”. Per i giudici vertendosi in tema di danno non patrimoniale piuttosto che calcolare le ore effettivamente perse dal legale, va affrontata la questione della loro traduzione in un danno risarcibile. Per la Cassazione però “il tempo libero non costituisce, di per sé, un diritto fondamentale delle persona tutelato a livello costituzionale”. In merito le Sezioni unite, sentenza 26972/2012, per la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali hanno richiesto che il danno non sia “futile, vale a dire che consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità”. Per cui, in questo caso “trattandosi di un diritto ‘immaginario’ … esso non può essere fonte di un obbligo risarcitorio in relazione al danno non patrimoniale”. Ed ugualmente deve dirsi per il danno da “perdita di tempo”, da “mancanza di un tempo ricreativo dell’organismo e della psiche umana” o anche della “forzata rinuncia a degli spazi temporali della propria esistenza”. Insomma come per il presunto “diritto al riposo” non siamo di fronte ad elementi assurgono a fonte di un possibile danno risarcibile.