Lo svagato legislatore ha intuito erroneamente che l’unico responsabile dell’ipertrofica inflazione dei processi sia l’avvocato e segnatamente l’avvocato del danneggiato: con l’introduzione dell’art. 2 comma III del dm 20.07.2012 n. 140 ha così ritenuto, non senza ipocrisia, di premiare l’avvocato con l’aumento del 40% qualora concluda la controversia transattivamente scongiurando un processo, d’altro canto lo ha penalizzato con l’abolizione dei diritti ed onorari e la conseguente creazione di una tariffa i cui compensi mortificano non solo l’attività dell’avvocato nel processo, ma la formazione, l’aggiornamento, i costi ed ogni altro corteo di attività che preludono a quella del processo. Il legislatore ha, così, fatto proprie le considerazioni dell’uomo della strada ritenendo che l’avvocato non intenda fare le transazioni (“più dura il processo, più l’avvocato guadagna …”).
Il risultato di tale delirante teorema è il seguente: considerato che l’avvocato non può fare alcuna transazione senza la disponibilità della compagnia assicuratrice, questa resterà avvinta al processo sfidando le sorti della sentenza, in quanto nella peggiore delle ipotesi, è consapevole che sarà condannata al pagamento di spese processuali risibili. Senza un segnale forte da parte dell’autorità giudiziaria nella liquidazione delle spese, le cause avranno la tendenza ad essere definite ex art. 190 cpc, piuttosto che ai sensi dell’art. 309 cpc.
Carmine Lattarulo