La II sezione della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso a mezzo del quale il promittente acquirente di un immobile chiedeva, in riforma della sentenza d’appello, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore ed il conseguente risarcimento del danno. Oggetto del contendere era la mancata cancellazione di un’ipoteca iscritta sull’immobile da vendere, che aveva pregiudicato la possibilità del promittente acquirente di ottenere un mutuo bancario a mezzo del quale saldare il prezzo di vendita nonchè, in via assorbente nella ricostruzione della Suprema Corte, l’omessa informazione, in sede di stipula del preliminare, di un’ulteriore ipoteca iscritta sull’immobile a garanzia di crediti condominiali.
La sentenza in esame, confermando l’orientamento giurisprudenziale risalente alla pronuncia n. 15380 del 1.12.2000 ha riconosciuto la facoltà del promittente acquirente di agire in via principale per la risoluzione del preliminare, senza essere onerato della previa richiesta, al giudice, della fissazione di un termine al promittente venditore, entro il quale liberare il bene dal vincolo reale che ne pregiudica il trasferimento. L’esistenza di un vincolo reale, taciuto al momento della stipula del preliminare, si pone, pertanto, quale circostanza atta a legittimare, tout court, la richiesta di risoluzione del preliminare per inadempimento, posto che, secondo la Suprema Corte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1453 e 1482, 2° comma c.c. , “il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento: o sequestro) non dichiarate(i) dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto,avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami” . Nel caso di specie, si ravvisa un’interpretazione del regolamento contrattuale ossequiosa della clausola di buona fede in senso oggettivo, posto che le parti, sin dal momento delle trattative e della formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede (art. 1337 c.c.). In questa prospettiva, la mancata comunicazione, in sede di stipula del preliminare, dell’esistenza di un vincolo sul bene oggetto della futura vendita è suscettibile, alla stregua di condotta lesiva del canone di lealtà, nel quale si declina, peraltro, la richiamata clausola generale di buona fede, di viziare la volontà negoziale del promittente acquirente, legittimandone la conseguente richiesta di risoluzione del preliminare, ex art. 1489 c.c.: norma la cui applicazione analogica al preliminare di vendita è stata riconosciuta già da Cass. n. 11757 del 29.10.92. Tanto più che, nel caso in esame, il promittente venditore si era impegnato, in sede di preliminare, non solo a fornire tutta la documentazione occorrente alla concessione del mutuo ma a costituirsi, altresì, quale terzo datore di ipoteca, offrendo, così, una cooperazione all’adempimento di controparte, rivelatasi successivamente fallace proprio a causa del preesistente vincolo reale sul bene.