Cassazione Civile Sez. III 15 novembre 2019 n. 29709: si tratta di una fattispecie a formazione progressiva, nella quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.
La questione.
Si discute se l’obbligo informativo possa esser scisso dall’attività sanitaria in senso tecnico.
La decisione.
La sentenza in commento offre un parallelismo tra due volontà esistenti nell’attività sanitaria, quella del sanitario e quella del “paziente”. La volontà del sanitario deve essere diretta alla tutela della salute di questo soggetto, mentre la volontà di quest’ultimo deve essere l’espressione della sua libertà, definita diritto di autodeterminazione, il cui corretto esercizio costituisce d’altronde il presupposto della legittimità dell’attività professionale sanitaria, cioè dell’esercizio della volontà tecnica del professionista sul corpo di chi, in questo senso, si autodetermina. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 438 del 28 novembre 2008, aveva delineato che “il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione (e) pone in risalto la sua funzione di sintesi dei due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma”. Nella stessa direzione la terza Sezione della Cassazione, la quale, nella sentenza n. 17022 del 28.6.2018, ha recentemente ribadito che “l’omessa acquisizione del consenso informato preventivo al trattamento sanitario (…) determina la lesione in sé della libera determinazione del paziente, quale valore costituzionalmente protetto dagli artt. 32 e 13 Cost., quest’ultimo ricomprendente la libertà di decidere in ordine alla propria salute ed al proprio corpo, a prescindere quindi dalla presenza di conseguenze negative sul piano della salute”.
I principi sono confermati dal legislatore. Infatti, l’art. 1 della I. 22 dicembre 2017 n. 219 dichiara, sì, di tutelare “il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona”, ma stabilisce altresì che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Tuttavia, l’attenzione al “consenso informato” si è sviluppata ampiamente ben prima della legge 219/2017, nella giurisprudenza della Cassazione (Cass. sez. 3, 23 ottobre 2018 n. 26728, Cass. sez. 3, ord. 19 luglio 2018 n. 19199, Cass. sez. 3, ord. 15 maggio 2018 n. 11749, Cass. sez. 3, 23 marzo 2018 n. 7248, Cass. sez. 3, ord. 31 gennaio 2018 n. 2369, Cass. sez. 3, 13 ottobre 2017 n. 24074, Cass. sez. 3, 12 giugno 2015 n. 12205).
La scissione, se non addirittura contrapposizione, informazione contro attività stricto sensu tecnica, proprio perché la seconda costituisce il presupposto della consapevole volontà ordinariamente legittimante della persona su cui l’attività viene espletata, non è quindi sostenibile. Si tratta, quindi, di una fattispecie a formazione progressiva, come indicato dal secondo comma dell’art. 1 della I. 22 dicembre 2017 n. 219: “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.
Si deve allora affermare il seguente principio di diritto: il sanitario, al di fuori delle eccezioni previste dall’ordinamento (intervento urgente senza possibilità di informare alcuno, neppure incaricato dalla persona che ne ha necessità o comunque ad essa prossimo; casi specifici stabiliti dalla legge ai sensi dell’articolo 32, secondo comma, Cost.), ha sempre l’obbligo di informare, in modo completo e adeguato, la persona su cui si appresta ad espletare la sua attività sanitaria o su cui già l’ha esercitata – sia in forma diagnostica che in forma terapeutica -, in quest’ultima ipotesi dovendo rappresentarle le possibili conseguenze e le possibili prosecuzioni di attività diagnostica e/o terapeutica; obbligo che, pertanto, non può essere mai scisso dall’obbligo di espletare correttamente l’attività sanitaria in senso tecnico, per cui il sanitario che ha espletato in modo corretto la sua attività sanitaria in senso tecnico ma non ha fornito l’adeguata informazione alla persona interessata è sempre inadempiente nella responsabilità contrattuale, mentre in quella extracontrattuale viola sempre il diritto costituzionale di autodeterminazione, limite della sua autonomia professionale.
Avv. Carmine Lattarulo ©
Attivita di cura, anche se corretta, non prescinde dal consenso informato
Articolo precedente