Cassazione Civile Sez. III 27 settembre 2021 n. 26117.
La questione.
La Cassazione è chiamata a risolvere due problemi: a) come debba liquidarsi il c.d. danno differenziale e cioè il credito risarcitorio vantato dalla vittima di un fatto illecito la quale, per lo stesso titolo, abbia percepito un indennizzo dall’assicuratore sociale; b) se i criteri sub (a) debbano subire modifiche nel caso in cui il fatto illecito abbia soltanto aggravato un danno che, sia pure in misura minore, comunque si sarebbe verificato.
La decisione.
Danno differenziale (risarcimento del responsabile diminuito dall’indennizzo dell’assicuratore sociale).
La prima questione va risolta in base al seguente principio: i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito rísarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito (Cass. Civ. Sez. Un. 22/05/2018 n. 12566). Ricorrendo tale ipotesi, il credito risarcitorio, per effetto del pagamento da parte dell’assicuratore sociale, si trasferisce ope legis dal danneggiato all’assicuratore, secondo le norme che disciplinano nel caso concreto l’istituto della surrogazione (e dunque, a seconda delle ipotesi, l’art. 1203 c.c., oppure l’art. 1916 c.c., od ancora l’art. 11 d.p.r. 30.6.1965 n. 1124). Il danneggiato, dunque, per effetto del pagamento dell’indennizzo perde la titolarità attiva dell’obbligazione per la parte indennizzata: e non essendo più creditore, va da sé che nessun risarcimento potrà pretendere dal responsabile. In tal caso il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (e cioè il c.d. danno differenziale) andrà determinato col criterio c.d. “per poste” (o “voci”) di danno: vale a dire sottraendo l’indennizzo INAIL dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici. Corollari di questo principio sono che, se per una voce di danno l’indennizzo INAIL eccede il credito civilistico: (a) per quel danno la vittima nulla potrà pretendere dal responsabile; (b) il responsabile non potrà pretendere che l’eventuale eccedenza dell’indennizzo rispetto al danno da lui causato sia riportata a defalco di altri crediti risarcitori della vittima (ex plurimis, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25618 del 15/10/2018; Sez. L, Sentenza n. 27669 del 21.11.2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17407 del 30.8.2016; Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015).
Non rileva la circostanza che l’assicuratore sociale non voglia o non abbia voluto esercitare il proprio diritto di surrogazione: che quel diritto sia andato perduto per rinuncia, prescrizione, remissione o transazione, questa è una vicenda che riguarda unicamente l’assicuratore sociale e non riverbera alcun effetto sulla posizione del danneggiato. Per avvedersene, basterà riflettere sul fatto che la remissione del debito, compiuta da chi aveva acquistato il credito a titolo derivativo, non fa certo risorgere l’obbligazione in capo al cedente. L’avvenuto ristoro del danno fa perdere al danneggiato il credito risarcitorio, mentre è ininfluente la circostanza che il terzo pagatore abbia richiesto al responsabile la rifusione dell’indennizzo pagato al danneggiato.
La Cassazione passa ad esaminare come questo danno differenziale debba applicarsi nel caso di infortuni sul lavoro, indennizzati dall’INAIL. A tal fine è bene ricordare quali pregiudizi siano indennizzati dall’INAIL, per poi esaminare in che conto debbano essere tenuti i relativi indennizzi al momento della liquidazione del danno differenziale. Nel caso di infortunio non mortale, l’INAIL esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali: a) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente (art. 13 d. Igs. 23.2.2000 n. 38); tale importo viene liquidato in forma di capitale per le invalidità comprese tra il 6 e il 16%, ed in forma di rendita per le invalidità superiori; b) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro; tale danno è presunto juris et de jure nel caso di invalidità eccedenti il 16%, e viene indennizzato attraverso una maggiorazione della rendita dovuta per il danno biologico permanente (art. 13, comma 2, lettera (b), d. Igs. 38/2000, secondo cui: “le menomazioni di grado pari o superiore al 16 per cento danno diritto all’erogazione di un’ulteriore quota di rendita (…) commisurata (…) alla retribuzione dell’assicurato (..,) per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali”); tale maggiorazione è calcolata moltiplicando la retribuzione del danneggiato per un coefficiente stabilito dall’Allegato 6 al d.m. 12.7.2000; c) eroga una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza (art. 68 d.p.r. 1124/65, cit.); d) si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici (art. 66 d.p.r. 1124/65). L’INAIL, dunque, non indennizza il danno biologico temporaneo, non accorda alcuna “personalizzazione” dell’indennizzo per tenere conto delle specificità del caso concreto, non indennizza i pregiudizi non patrimoniali non aventi fondamento medico-legale (ovvero i pregiudizi morali). Applicando dunque all’INAIL il criterio generale enunciato, ne risulta che: (a) se l’INAIL ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale (Sez. L, Sentenza n. 9112 del 02/04/2019; Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 26.6.2015); (b) se l’INAIL ha costituito in favore del danneggiato una rendita, occorrerà innanzitutto (aggiungiamo noi, capitalizzarla), determinare la quota (capitalizzata) di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa; la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente; c) poiché il credito scaturente da una rendita matura de mense in mensem, il diffalco di cui al punto (b) che precede dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico: (c’) sommando e rivalutando dei ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione; (c”) capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite INAIL, di cui al d.m. 22 novembre 2016 (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25618 del 15/10/2018; Sez. 3, Sentenza n. 5607 del 7.3.2017; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26913 del 23.12.2016; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17407 del 30.8.2016); ovviamente l’una e l’altra di tali operazioni andranno compiute sulla quota-parte della rendita omogenea al danno che si intende liquidare: e dunque la quota-parte destinata all’indennizzo del danno biologico o quella destinata all’indennizzo del danno patrimoniale, a seconda che si tratti di liquidare l’uno o l’altro; (d) il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della c.d. “personalizzazione” del danno biologico permanente in nessun caso potranno essere ridotti per effetto dell’intervento dell’assicuratore sociale (perché sono voci estranee nell’indennizzo dell’assicuratore sociale); (e) il credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche di norma non porranno problemi di calcolo del danno differenziale, essendo i suddetti pregiudizi integralmente ristorati dall’Inali, salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi eccedenti quelli indennizzati dall’Inail (ad esempio, per la perduta possibilità di svolgere lavoro straordinario, o per spese mediche non indennizzate dall’INAIL).
Danno iatrogeno (pregiudizio alla salute causato da colpa di un sanitario diminuito della lesione già esistente).
Resta ora da stabilire come tali criteri vadano applicati nel caso in cui il responsabile abbia soltanto aggravato postumi permanenti che comunque, in minor misura, la vittima non avrebbe potuto evitare (c.d. danno iatrogeno).
Il problema può così sintetizzarsi: come si debba quantificare il credito risarcitorio spettante alla vittima di un fatto illecito che: a) abbia patito un danno alla salute non ascrivibile a responsabilità di alcuno (“danno-base”); b) abbia patito un aggravamento del suddetto danno ascrivibile al fatto colposo dell’uomo; c) abbia percepito dall’INAIL un indennizzo commisurato al danno finale (danno-base più aggravamento). Ricorrendo tale ipotesi, occorre muovere dal rilievo che il danno alla salute è unitario. Non esiste infatti una “salute lavoristica” ed una “salute civilistica”; esistono soltanto criteri differenti per la monetizzazione del relativo pregiudizio, a seconda che debba essere indennizzato dall’assicuratore sociale o risarcito dal responsabile civile. Da ciò consegue che, da un lato, la vittima non potrebbe pretendere di “compartimentare” i pregiudizi subìti, per evitare che l’indennizzo già percepito sia imputato al solo danno-base, e non sia anche imputato a diffalco del risarcimento dovuto per l’aggravamento. Dall’altro lato, e converso, il responsabile non potrebbe pretendere che l’indennizzo pagato dall’INAIL sia portato in primo luogo e per l’intero a diffalco del risarcimento dovuto per l’aggravamento, e solo la parte residua sia imputata al danno-base. Criterio corretto sarà invece: a) stabilire la misura del danno-base e quella dell’aggravamento (coi criteri che meglio si diranno in seguito); b) determinare il complessivo indennizzo dovuto dall’INAIL, sommando i ratei di rendita già percepiti e capitalizzando la rendita futura, al netto dell’incremento per danno patrimoniale; c) verificare se l’indennizzo totale sub (b) sia inferiore o superiore al danno base. Nel primo caso, il responsabile dell’aggravamento sarà obbligato a risarcire quest’ultimo per intero; nel secondo caso il responsabile dell’aggravamento sarà tenuto a risarcire quel che resta sottraendo dall’aggravamento la differenza tra l’indennizzo INAIL e il danno-base. Qui, la Cassazione si avventura in una formula algebrica poco chiara, che siamo costretti a riportare testualmente. Algebricamente, il criterio può così esprimersi: se I < DB: il risarcimento dell’aggravamento è dovuto per intero. Se I > DB: l’aggravamento va liquidato con la seguente formula DD = Agg – (I – DB) dove: DD è il danno differenziale; Agg è l’aggravamento del danno-base (danno iatrogeno); I è l’indennizzo pagato dall’INAIL, capitalizzato coi criteri sopra indicati; DB è il “danno-base”, ovvero il controvalore monetario del grado di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all’infortunio, anche in assenza del fatto illecito. In pratica, il criterio corretto consiste nell’imputare a diffalco del risarcimento del danno iatrogeno la sola eventuale eccedenza pecuniaria dell’indennizzo INAIL rispetto al danno-base. Resta da sottolineare che tutti i calcoli sopra indicati andranno compiuti previa monetizzazione dell’invalidità: e dunque sugli importi monetari, e non sulle percentuali di invalidità. Un passo decisivo e chiarificatore è il seguente: il risarcimento del danno iatrogeno non va quantificato sottraendo il grado percentuale di invalidità idealmente ascrivibile all’errore medico, dal grado percentuale di invalidità complessiva effettivamente residuato; va invece determinato monetizzando l’una e l’altra invalidità, e sottraendo dal controvalore monetario della seconda il controvalore monetario dell’invalidità che comunque sarebbe residuata all’infortunio anche nel caso di diligenti cure. In altri termini, secondo la Corte, se il danno complessivo è 20 e il danno derivante dall’errore medico è 12, il danno iatrogneo non è 8 punti, da liquidarsi in forza del valore numerico corrispondente alla tabella delle menomazioni; bisogna invece quantificare il danno pari a 20, distintamente da quello pari a 12, e calcolare la differenza. Il totale sarà diverso dall’8 sic et simpliter.
Avv. Carmine Lattarulo ©
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