Cassazione Civile 24 marzo 2015 n. 5866. E’ l’ennesimo arresto della Suprema Corte che riguarda il cd danno catastrofale (ovvero tanatologico, ovvero iure hereditatis) subito dalla persona ormai prossima alla morte che lo trasferisce ai suoi eredi iure successionis. La Corte sottolinea ancora una volta che non è giuridicamente corretto escludere la risarcibilità del danno catastrofale per il solo fatto che il deceduto resti vigile per poche ore: ciò che rileva per affermare il diritto al risarcimento non è tanto la durata quanto l’effettiva esistenza di un danno catastrofale (ossia dello sconvolgimento psichico patito da chi si trovi a cogliere -anche per un periodo di breve durata- il proprio momento terminale), mentre l’elemento della durata della sofferenza può incidere unicamente sulla quantificazione del risarcimento. La Suprema Corte, con storica sentenza del 23 gennaio 2014 n. 1361, aveva già posto una netta distinzione tra bene della vita e bene della salute affermando che costituisce danno non patrimoniale il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento e che è altro e diverso dal danno alla salute e dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale della vittima. Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e quindi anteriormente all’exitus, costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell’irrisarcibilità del danno evento e della risarcibilità dei soli danni conseguenza.
Carmine Lattarulo