Cassazione Civile Sezione III 5 dicembre 2014 25731. La perdita del familiare avente ulteriore conseguenza nel mancato apporto delle cure e delle faccende domestiche deve essere calcolato sull’adottato criterio di aspettativa di vita della de cuius, che, invero, non attiene alla vita biologica alla vita lavorativa e collaborativa, che viene considerata sino a 75 anni. Solo alcuni giorni prima, la Cassazione aveva emesso altri due importanti principi e segnatamente che il danno da mancato assolvimento di cure domestiche ad opera del marito, nonché la spesa, costuissero danni distinti che sussistono entrambi (Cassazione Civile Sezione III 18 novembre 2014 n. 24471). La Corte di Cassazione afferma che non esiste alcuna presunzione contraria a che l’uomo non assolva a faccende domestiche. Non è certo madre natura a stabilire i criteri di riparto delle incombenze domestiche tra i coniugi. Tale riparto è ovviamente frutto di scelte soggettive e di costumi sociali, le une e gli altri nemmeno presi in considerazione dalla Corte d’appello. Ed una opinione contraria si contrappone al fondamentale principio giuridico di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della famiglia, sancito dai commi 1 e 3 dell’art. 143 c.c.: ed in mancanza di prove contrarie, che sarebbe stato onere dei convenuti addurre e che non furono addotte, è ragionevole presumere che i cittadini conformino la propria vita familiare ai precetti normativi, piuttosto che il contrario. Qualunque persona non può fare a meno di occuparsi di una certa aliquota del lavoro domestico: non foss’altro per quanto attiene le proprie personali esigenze. Pertanto dal fatto noto che una persona sia rimasta vittima di lesioni che l’abbiano costretta ad un lungo periodo di rilevante invalidità, è possibile risalire al fatto ignorato che a causa dell’invalidità non abbia potuto attendere al ménage familiare. L’abbandono delle cure domestiche, ed in particolare la forzosa rinuncia ad occuparsi di figli minori, possano in teoria costituire un danno non patrimoniale. E’ altrettanto indubitabile che tale pregiudizio non ha nulla a che vedere con il danno patrimoniale consistito nella perduta possibilità di svolgere una attività suscettibile di valutazione economica come il lavoro domestico. La forzosa rinuncia alle occupazioni domestiche, a causa di un infortunio, è infatti un pregiudizio che può riverberare effetti tanto sul piano non patrimoniale (ad es., la sofferenza per dovere delegare a terzi le cure parentali), quanto su quello patrimoniale (ad es., essere costretti a pagare una persona cui affidare le incombenze un tempo disimpegnate in prima persona). L’uno e l’altro profilo sono tra loro distinti e separati: il primo non implica il secondo, e viceversa; così come possono i due pregiudizi essere contemporaneamente presenti o contemporaneamente inesistenti. Pertanto la circostanza che nella liquidazione del danno patrimoniale per le lesioni sofferte da un prossimo congiunto si sia tenuto conto anche del dolore causato dalla forzosa rinuncia al lavoro domestico non esime il giudice dall’accertare e liquidare l’esistenza del danno patrimoniale eventualmente conseguito alla medesima rinuncia. La perduta possibilità di svolgere lavoro domestico costituisce un danno patrimoniale, pari al costo ideale di un collaboratore cui affidare le incombenze che la vittima non ha potuto sbrigare da sé.
Avv. Carmine Lattarulo