Cassazione Civile Sezione III 12 febbraio 2015 n.2785. E’ noto che la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, né è in procinto presumibilmente di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico, che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato. Qualora, invece, a detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione della produzione di reddito integra un danno patrimoniale. Ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall’invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse – o presumibilmente in futuro avrebbe avvolto un’attività lavorativa produttiva di redditoed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l’infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. La prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di guadagno (Cass., 18 aprile 2003, n. 6291). Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall’accertamento dell’invalidità permanente, poiché esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. A tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l’infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (Cass. 27 aprile 2014,n. 10074). La parte innovativa di questa sentenza consiste nel valutare adeguatamente l’impossibilità di esercitare un’altra attività lavorativa, soprattutto allorquando si perde il lavoro, a causa dell’infortunio, e non si riesce a trovarne un altro, in un particolare momento storico come quello attuale. La Corte di Cassazione, quindi, introduce il principio della regolazione della prova in relazione ai tempi. Infatti, in questo caso, la Corte di Apello non aveva considerato che le richieste della danneggiata (vigile) di essere assegnata a lavoro alternativo a quello sulla strada, non erano state accolte e che ella era stata licenziata dal lavoro. Il giudice deve quindi non soltanto valorizzare il dato dell’idoneità ad esercitare altri tipi di lavoro, ma anche verificare che gli stessi siano conformi alle attitudini e preparazione del danneggiato (allorché si tratti di persona già inserita da anni nella specifica attività), sia pure nell’ambito della flessibilità delle prestazioni lavorative, nonché la concreta possibilità di trovare altro tipo di lavoro, a fronte della perdita definitiva del precedente, per effetto dell’evento dannoso. Tale attività alternativa deve poi non necessitare di sforzi superiori a quelli richiedibili sulla base della coscienza sociale (ad esempio il lavoro alternativo esiste se si va in un’altra nazione). Pertanto, laddove il danneggiato assume di aver provato con documentazione la sua ricerca di lavoro alternativo e di non averlo trovato, in questo caso spetta il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica (ovvero da lucro cessante).
Avv. Carmine Lattarulo