Cassazione penale, sez. III, sentenza 31.07.2013 n° 33160. Non è reato locare un appartamento ad una prostituta se il canone è conforme ai prezzi di mercato. E’ quanto emerge dalla sentenza 31 luglio 2013, n. 33160 della Terza Sezione Penale della Cassazione. Il reato di locazione al fine di esercizio di una casa di prostituzione, contemplato dall’art. 3, secondo comma, della legge 20 febbraio 1958, n. 75, richiede, come ricordano i giudici della Suprema Corte, quali elementi costitutivi, non solo il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone nel locale, ma anche e soprattutto l’esistenza, all’interno nello stesso locale, di una certa organizzazione finalizzata appunto all’attività di prostituzione. Al proposito, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, “per integrare il concetto di casa di prostituzione previsto nei numeri 1 e 2 dell’art. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 è necessario un minimo, anche rudimentale, di organizzazione della prostituzione, che implica una pluralità di persone esercenti il meretricio” (Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 1999, n. 8600, Campanella, m. 214228); e “per integrare il concetto di casa di prostituzione, è necessario il contestuale esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali ed, all’interno dello stesso locale, l’esistenza di una sia pur rudimentale forma di organizzazione, (“alla stregua di quanto avveniva nelle c.d. case di tolleranza, diffuse prima della legge Merlin”)” (Cass. pen., Sez. III, 16 aprile 2004, n. 23657, Rinciari, m. 228971). Di conseguenza, “Il reato di chi, avendo la proprietà o l’amministrazione di una casa, la concede in locazione a scopo di esercizio di una casa di prostituzione non sussiste, pertanto, quando il locatore conceda in locazione l’immobile ad una sola donna, pur essendo consapevole che la locataria è una prostituta, e che eserciterà nella casa locata autonomamente e per proprio conto” (Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 1999, n. 8600, Campanella, m. 214228, cit.) e “Non integra il reato di locazione di immobile al fine dell’esercizio di una casa di prostituzione concedere in locazione un appartamento all’interno del quale, sebbene con frequente turnazione, venga esercitata la prostituzione di volta in volta da una sola donna” (Cass. pen., Sez. III, 16 aprile 2004, n. 23657, Rinciari, m. 228971, cit.). In sostanza, come evidenziato dai giudici della Terza Sezione Penale, per ravvisare una casa di prostituzione e quindi per integrare il reato è necessario che, all’interno della stessa casa vi sia un minimo di stabile organizzazione della prostituzione, implicante una pluralità di persone esercenti contestualmente il meretricio negli stessi locali, e l’intervento di un soggetto che predisponga, sovrintenda e sfrutti l’attività delle persone che si prostituiscono, alla stregua di quanto avveniva prima della legge Merlin nelle c.d. “case di tolleranza”. Nella specie l’ordinanza impugnata individuava l’organizzazione nel solo fatto che l’immobile fosse stato utilizzato da diverse ragazze mediante turnazione e nel fatto che i clienti, reperiti per strada, venivano poi condotti presso l’immobile per consumare il rapporto sessuale. Come confermato dalla giurisprudenza sul punto dominante, presupposto indefettibile della fattispecie é che l’esercizio del meretricio da parte di più persone negli stessi locali avvenga contestualmente, con la conseguenza che non sussiste il reato nel caso di turnazione, sia pure frequente, tra diverse prostitute (Sez. 3, 16.4.2004, n. 23657, Rincari, m. 228971, cit). Occorre poi che la necessaria forma di organizzazione sia presente “all’interno del locale”, sicché non può consistere nella mera circostanza che i clienti venivano portati nell’appartamento per consumare il rapporto. Nella fattispecie è, altresì, da escludere la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione. Secondo l’orientamento interpretativo da tempo affermato e prevalente, non è ravvisabile il favoreggiamento della prostituzione nel fatto di chi conceda in locazione, a prezzo di mercato (mentre qualora il canone sia superiore potrebbe ipotizzarsi lo sfruttamento), un appartamento ad una prostituta, anche se sia consapevole che la locataria vi eserciterà la prostituzione (Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 1971, n. 999, Campo, m. 119000; Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 1984, n. 4996, Siclari, m. 164513; Cass. pen., Sez. III, 3 maggio 1991, n. 6400, Tebaldi, m. 188540; Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 1999, n. 8600, Campanella, m. 214228). Sebbene il legislatore incrimini chiunque favorisca “in qualsiasi modo” la prostituzione altrui, è pur sempre necessario che la condotta materiale concreti oggettivamente un aiuto all’esercizio del meretricio in quanto tale. Se invece l’aiuto è prestato solo alla prostituta in quanto persona, non può configurarsi il reato di favoreggiamento, se non a costo di conseguenze aberranti non solo sul piano dell’etica e del senso comune ma anche in rapporto alla ratio e alla intentio legis. Ma, nella sentenza in commento i giudici si spingono ancora oltre affermando come, in relazione alla necessità di interpretare il sistema conformemente alla obiettiva evoluzione della ratio legis e degli interessi e beni tutelati, come un punto fermo sia rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attività non vietata, e dunque in sé lecita, quella che la persona liberamente svolge scambiando la propria fisicità contro denaro.