Corte Europea per i diritti dell’Uomo 29 ottobre 2021 n. 55064/11: i filtri limitano l’accesso alla giustizia ed incidono sulla sostanza stessa del diritto leso.
La questione: l’Italia è stata portata dinanzi alla CEDU (Corte Europea dei diritti dell’Uomo) per essere giudicata sull’eccessivo formalismo adottato dalla Corte di Cassazione nella decisione dei ricorsi.
La decisione.
L’articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo recita: “ogni persona ha diritto a un processo equo … da parte di un tribunale indipendente ed impariziale”. E’ stata sostenuta l’interpretazione eccessivamente formalistica adottata dalla Corte di Cassazione sotto l’egida del principio di autonomia (o di autosufficienza) del ricorso in cassazione, secondo il quale la Corte di Cassazione deve comprendere il contesto della causa e le rivendicazioni delle parti interessate senza dover fare riferimento ad altre fonti scritte.
Secondo un passaggio della raccomandazione R(95)5 del 7 febbraio 1995 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, a livello europeo, la maggior parte delle corti supreme ha adottato o rafforzato, negli ultimi anni, un meccanismo di “filtraggio” dei ricorsi, per evitare che un numero eccessivo di domande ostruisca l’attività istituzionale di un tribunale.
Ma in questo modo, secondo la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, si finisce per intaccare la sostanza stessa del “diritto” del ricorrente a un tribunale. Ha osservato che “anche se il carico di lavoro della Corte di cassazione come descritto dal governo è suscettibile di causare difficoltà nel funzionamento ordinario del trattamento dei ricorsi, resta il fatto che le limitazioni all’accesso alle corti di cassazione non devono essere interpretate in modo troppo formale per limitare il diritto di accesso a un tribunale in modo tale o in misura tale da incidere sulla sostanza stessa di tale diritto” (cfr. Zubac e Vermeersch vs. Belgio, n. 49652/10, 16 febbraio 2021; Efstratiou e altri vs Grecia n. 53221/14, 19 novembre 2020). Forse sarebbe meglio aumentare il numero dei giudici, piuttosto che scoraggiare l’accesso alla giustizia.
Brevi riflessioni.
Le regole del processo dinanzi alla Corte di Cassazione non sono chiare. Il codice di procedura civile dedica soli 34 articoli (dal 360 al 394). Pertanto, la Cassazione, in questo vuoto normativo, è autoreferenziale, legislatore e giudice al tempo stesso, perchè decide e giudica sulle regole da seguire nel processo dinanzi ad essa. Sotto il principio della autosufficienza del ricorso, dell’istituto dell’assorbimento del motivo a quello precedente, della omessa esposizione sommaria dei fatti di causa, molte ricorsi non vengono esaminati. In via esemplificativa, ma non esaustiva, redigere il ricorso in Cassazione allegando la rubrica “omessa motivazione”, in luogo della “omessa pronuncia”, determina l’inammissibilità, ovviamente insanabile, del ricorso stesso, in quanto il primo è denunciabile ex art. 360 comma I n. 5 cpc (omessa motivazione), mentre il secondo è denunciabile ai sensi dell’art. 360 comma I n. 4 cpc (nullità della sentenza)1: poco conta che dalla redazione del ricorso ben si comprenda che il ricorrente abbia alluso alla omessa pronuncia, piuttosto che alla omessa motivazione.
Stiamo assistendo ad una pericolosa involuzione del sistema normativo e sembra di rivedere in auge forme arcaiche di giustizia che hanno caratterizzato civiltà antiche, ove i processi venivano decisi dall’uso di determinati termini ritenuti più o meno consoni a descrivere l’oggetto della discussione. Una imprecisione nel linguaggio era sufficiente per perdere un processo pur avendo tutti gli elementi a favore. Si poteva perdere una causa solo perché si sbagliava a utilizzare una parola. Oggi, come nell’antichità, forse, si è attribuita troppa importanza alla forma e alle parole. Per i Romani, però, la funzione giurisdizionale aveva un connotato sacro e sbagliare una formula significava andare contro un rito caratterizzato da una certa sacralità. Il tutto era legato a una visione quasi sacerdotale della funzione giurisdizionale e per questo sbagliare una formula significava infrangere un rito che aveva come conseguenza una punizione: la perdita del diritto sostanziale. Ma erano epoche diverse e oggi il formalismo giudiziario non appare più giustificato, né in linea con l’evoluzione di una coscienza sociale che non può più tollerare che si dia precedenza al processo rispetto ai diritti delle persone. Come si può accettare che un cittadino possa perdere irrimediabilmente una causa solo per un errore di procedura se nella sostanza ha ragione?
Avv. Carmine Lattarulo ©
Eccessivi formalismi in Cassazione, Italia condannata
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