Quando si verifica un incidente stradale in un luogo lontano dal domicilio del danneggiato, è un vero problema. Infatti, la competenza terrotoriale del giudice davanti al quale deve promuoversi il processo è quello del foro di residenza dell’altra parte coinvolta (art. 18 cpc), della compagnia (art. 19 cpc), del luogo dove si è verificato l’incidente (art. 20 cpc) ovvero dove l’obbligazione deve eseguirsi, che coincide, a seguito di un’approfondita analisi, con quelli ex art. 18 e 19 cpc (art. 20 cpc). Il danneggiato può proporre la domanda davanti al giudice del luogo dove egli risiede, in quanto l’eccezione non è rilevabile dal giudice, ma dalle parti e, pertanto, le compagnie di assicurazione sanno perfettamente che basta rilevare l’eccezione che il diritto al risarcimento del danno del cittadino è seriamente compromesso.
Infatti, questi non può incaricare il suo avvocato di fiducia, il quale, sempre che accetti l’incarico, per spostarsi in quel foro, di volta in volta, deve sostenere costi notevolissimi in ordine di spese e di tempo. Deve pertanto nominare un avvocato di quel foro con gravissima violazione del diritto di difesa: molto raramente potrà avere un colloquio diretto con quest’avvocato, se non per telefono, in considerazione della lontananza; non ha potuto in precedenza conoscere questo sconosciuto professionista e valutarne la sua preparazione, al contrario del suo avvocato del luogo, molto spesso anche amico e, soprattutto per ques’ultima considerazione, dovrà certamente farsi carico di inviare un congruo fondo spese, non solo in termini di spese vive. La soluzione migliore sarebbe quella che lo porti a nominare il suo avvocato di fiducia il quale si domicili presso l’avvocato di quel foro (ma in ogni caso e nella migliore delle ipotesi uno dei due avvocati non potrà essere pagato, anche in caso di vittoria, dalla compagnia assicuratrice). In questo contesto, è auspicabile una nuova e più attenta lettura delle norme relative alla competenza per territorio in caso di obbligazioni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore (lettura assolutamente trascurata, in precedenza, e mai approfondita, allorché vigeva il risalente ed ormai superato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di competenza territoriale derogabile, con riguardo al caso di litisconsorzio necessario passivo). Tale nuova auspicata lettura passa attraverso un’interpretazione logico-sistematica, integrativa ed adeguatrice dell’ordinamento interno e delle sue norme, con l’ordinamento di origine comunitario. E’ noto che le norme comunitarie assurgono, oggi, a norme di rango superiore, in virtù dei seguenti articoli della Costituzione:
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art. 10, in base al quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute” e, quindi, stabilisce l’obbligo di conformarsi alle norme di diritto internazionale consuetudinario;
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art. 11 Cost., in base al quale “l’Italia (…) consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”;
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art. 117, 1° comma, Cost., in base al quale “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Tale nuova lettura auspicata, passa, pertanto, attraverso i principi ed i criteri direttivi di tutela della parte più debole, sanciti espressamente sia dall’ordinamento comunitario che da quello nazionale ed, in particolare, dalle seguenti normative:
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il Trattato CE; invero, secondo l’art. 3, lett. t. del Trattato CE, l’azione della Comunità comporta un contributo al rafforzamento della protezione dei consumatori; secondo l’art. 153 dello stesso Trattato, al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un elevato livello di loro protezione, la Comunità contribuisce a tutelare…gli interessi dei consumatori;
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la Costituzione europea; invero, secondo l’art. 98, parte seconda, della Costituzione europea, nelle Politiche dell’Unione è garantito un livello elevato livello di protezione dei consumatori; e giova evidenziare che la S.C., proprio di recente, ha riconosciuto valenza normativa alla Costituzione europea (cfr. Cass. 12/7/06 n. 15760);
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la L. 30/7/98 n. 281, di derivazione europea (varata dal Parlamento Italiano “in conformità ai principi contenuti nei trattati istitutivi delle Comunità europee e nel Trattato sull’Unione Europea nonché nella normativa comunitaria derivata” – art. 1) e, quindi, norma di rango superiore e meglio nota come la Costituzione del consumatore (oggi abrogata dal D.lgs. 6/9/2005 n. 206, Codice del Consumo);
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il recente D.lgs. 6/9/2005 n. 206 (Codice del Consumo);
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il recente d. lgs 7.9.2005 n. 209 (Codice delle Assicurazioni private) ed, in particolare, i principi e criteri direttivi sanciti nella legge delega; in particolare, il legislatore italiano, con l’art. 4 L. 29/7/2003 n. 229, ha espressamente previsto il riassetto normativo dell’intera e complessa materia assicurativa ed ha dettato i seguenti princìpi e criteri direttivi: “a) adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali; b) tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli…avendo riguardo anche alla correttezza…del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale servizio”.
Secondo tutti tali principi sanciti sia a livello comunitario, sia a livello nazionale, deve ritenersi che il rapporto giuridico che si instaura, normalmente, tra impresa di assicurazione, da un lato, e assicurato, dall’altro, è un rapporto giuridico di servizio ove, da un lato, l’impresa di assicurazione-professionista presta la sua attività e fornisce il servizio assicurativo e dall’altro l’assicurato-consumatore lo riceve. La nozione di servizio, cui bisogna fare riferimento, è quella data dalla normativa comunitaria, secondo cui in esso confluisce tutto ciò che non è un bene. La nozione di consumatore, introdotta per la prima volta nel linguaggio legislativo dalla L. 10/10/90 n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), c.detta legge Antitrust, cui bisogna fare riferimento, è quella data dalla legge italiana, dalla S.C. e dalla Consulta. Invero, la legge italiana ha sancito che:
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“il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (art. 25 L. 6.2.1996 n. 52 che ha introdotto gli artt. 1469 bis e segg. c.c.);
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si intendono per “consumatori e utenti: le persone fisiche che acquistino o utilizzino beni o servizi per scopi non riferibili all’attività imprenditoriale e professionale eventualmente svolta” (art. 2 lett. a) L. 30.07.1998 n. 281);
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si intende per “consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (art. 3 comma I lett. A d. lgs 6.9.2005 n. 206 Codice del Consumo, normativa applicata il giorno dopo il Codice della assicurazioni).
La S.C., poi, anche se al diverso fine dell’applicazione della disciplina di cui agli art. 1469 bis e segg. c.c., relativa ai contratti del consumatore, ha chiarito definitivamente che “deve essere considerato “consumatore” la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi – secondo l’originaria formulazione del comma 1 dell’art. 1469 bis c.c. – e senza tale limitazione dopo la modifica di cui all’art. 25 l. 21 dicembre 1999 n. 526) per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio di dette attività” (Cass. Civ. 25.7.2001 n. 10127). La Consulta, poi, in conformità al testo della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, agli orientamenti in ambito comunitario della Corte di Giustizia, alla normativa di numerosi paesi membri dell’Unione europea, alla legge italiana nonché al progetto, in fase di elaborazione, di codice civile europeo, ha chiarito definitivamente che la nozione di consumatore è data solo ed esclusivamente “alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” (Corte Cost. 22.11.2002 n. 469). La nozione di professionista, poi, cui bisogna fare riferimento, è quella data dalla legge italiana, dalla S.C. e dalla Consulta. Invero, la legge italiana ha sancito che:
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“il professionista è la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizza il contratto…” stipulato con il consumatore (art. 25 L. 6.2.1996 n. 52 che ha introdotto l’art. 1469 bis);
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si intende per “professionista: la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero suo intermediario” (art. 3 comma I lett. C d lgs 6.9.2005 n. 206 – Codice del consumo).
La S.C., poi, anche se al diverso fine dell’applicazione della disciplina di cui agli art. 1469 bis ss. c.c. relativa ai contratti del consumatore, ha chiarito definitivamente che “deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che, invece, utilizza il contratto (avente ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi e senza tale limitazione dopo l’entrata in vigore della citata l. n. 526 del 1999) nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale. Perché ricorra la figura del “professionista” non è necessario che il contratto sia posto in essere nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della professione, essendo sufficiente che venga posto in essere per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale”(Cass. Civ. 25.07.2001 n. 10127). La Consulta, poi, anche in questo caso, in conformità al testo della direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, agli orientamenti in ambito comunitario della Corte di Giustizia, alla normativa di numerosi paesi membri dell’Unione europea, alla legge italiana nonché al progetto, in fase di elaborazione, di codice civile europeo, ha esteso la nozione di professionista a “tutti quei soggetti – quali professionisti, piccoli imprenditori e artigiani – che in forma individuale o anche collettiva agiscono per scopi comunque connessi all’attività economica, quantunque senza finalità di lucro” (Corte Cost. 22.11.2002 n. 469). Ne consegue, per tutto quanto fin qui esposto, che il rapporto giuridico di servizio che normalmente si perfeziona tra assicurato, da un lato, e impresa di assicurazione, dall’altro, rientra, quindi, nello schema tipico del contratto tra consumatore e professionista, con conseguente applicazione di tutta la relativa disciplina ed, in particolare, del D.lgs. 6/9/2005 n. 206 (Codice del consumo).
Ne consegue che il giudice naturale territorialmente competente a conoscere e decidere la controversia è quello esclusivo del luogo di residenza o domicilio elettivo del danneggiato-consumatore. Depone, in favore di tale assunto, l’orientamento delle Sezioni Unite che, proprio di recente, in tema di competenza civile relativa a contratto stipulato tra consumatore e professionista, hanno composto un contrasto insorto in seno alle sezioni semplici, ed hanno definitivamente sancito che “la disposizione dettata dall’art. 1469 bis, 3° comma, numero 19, c.c. (norma oggi abrogata dall’art. 142 D.lgs. 2005/206, Codice del consumo, e sostituita con l’analoga previsione dell’art. 33, 2° comma, lett. u, D.lgs. 206/2005) si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che individui come sede del foro competente una diversa località. La disposizione dettata dall’art. 1469 bis, 3° comma, numero 19, c.c. ha natura di norma processuale e si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima” (Cass. Civ. Sez. Un. 1.10.2003 n. 14669). Si segnala importante arresto della giurisprudenza di merito e segnatamente del giudice di pace di Taranto – Dott. Lanfranco d’Alanno in sentenza n. 3804 del 15 luglio 2010 – il quale ha ritenuto foro competente quello dell’attore, individuandolo come consumatore e quindi ritenendo vessatoria ogni altra previsione. Il principio, pertanto, che il danneggiato da sinistro stradale può convenire in giudizio, con azione diretta, innanzi al giudice nazionale ed, in particolare, del luogo di sua residenza o domicilio, l’impresa di assicurazione della responsabilità civile del veicolo danneggiante straniero, è ormai un principio europeo. Ne consegue che tale principio europeo può e deve estendersi anche all’ordinamento nazionale, per i sinistri stradali o nautici avvenuti nel nostro Paese, a prescindere se si tratti di competenza giurisdizionale o competenza territoriale, in quanto non è ragionevole immaginare che il cittadino italiano, danneggiato da sinistro stradale avvenuto sul territorio straniero, possa convenire con azione diretta l’impresa di assicurazione della responsabilità civile del veicolo danneggiante innanzi al giudice ove egli abbia residenza o domicilio mentre ciò non possa fare in caso di sinistro stradale avvenuto in luogo diverso dalla sua residenza o domicilio ma entro i limiti territoriali del confine italiano. Fermo restando quanto innanzi esposto, delle norme relative alla competenza per territorio derogabile, va data una lettura costituzionalmente orientata. La norma di cui all’art. 18, 1° comma, c.p.c., dispone che “salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora”. Secondo tale norma, nei sinistri stradali, ove teoricamente vi sono, o vi possono essere, due o più contrapposte parti che vantano una pretesa risarcitoria, l’individuazione del giudice naturale, competente per territorio a conoscere della controversia, è casualmente lasciata all’iniziativa delle stesse parti. Invero, se un incidente stradale avviene a Roma tra un cittadino napoletano ed uno milanese:
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il giudice napoletano è anche competente se agisce per primo in giudizio il danneggiato milanese mentre non lo è se agisce per primo in giudizio il danneggiato napoletano;
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il giudice milanese è anche competente se agisce per primo in giudizio il danneggiato napoletano mentre non lo è se agisce per primo in giudizio il danneggiato milanese.
Ma non è ragionevole immaginare che, in tale ipotesi, l’individuazione del giudice naturale, competente per territorio a conoscere della controversia, è casualmente lasciata all’iniziativa delle parti danneggiate. Ne consegue che, detta norma, va letta ed interpretata nel senso che, in caso di sinistro stradale, il giudice naturale, competente per territorio a conoscere della controversia, è sia il giudice del luogo di residenza o domicilio del convenuto-danneggiante che dell’attore-danneggiato. La norma di cui all’art. 19, 1° comma, c.p.c., dispone che “salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. E’ competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda”. Nel caso di impresa di assicurazione-professionista, deve ritenersi che essa, poiché ha un’organizzazione capillare su tutto il territorio nazionale, con uffici di liquidazione danni e professionisti fiduciari, l’ultima parte di detta norma, non ha alcun senso. Invero, non è ragionevole che, nell’ipotesi in cui sia convenuta una impresa di assicurazione-professionista, non sia competente anche il giudice del luogo ove detta impresa abbia un ufficio di liquidazione danni ove, tra l’altro, ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 16/1/1981 n. 45 (non abrogato, né espressamente né implicitamente dal recente d. lgs 7.9.2005 n. 209), il danneggiato da sinistro stradale deve indirizzare la sua richiesta di risarcimento. Ne consegue che detta norma (art. 19, 1° comma, c.p.c.), va letta ed interpretata nel senso che, in caso di sinistro stradale e di azione diretta del danneggiato, il giudice naturale, competente per territorio a conoscere della controversia, è sia il giudice del luogo ove l’impresa di assicurazione ha la sua sede legale che ove la stessa ha uno stabilimento o un centro di liquidazione danni. La norma di cui all’art. 20 c.p.c., dispone che “per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio salvo che la legge disponga altrimenti”. Tale norma, che parla unicamente di obbligazioni, non deve interpretarsi nel senso che essa distingua tacitamente tra obbligazioni ex contractu ed obbligazioni ex delicto, stabilendo che per le seconde non valga il criterio dell’individuazione della competenza nel luogo ove l’obbligazione deve essere eseguita. Conforta, tale assunto la giurisprudenza di legittimità che ha costantemente affermato che “in tema di competenza territoriale, l’art. 20 c.p.c. si applica a tutte le obbligazioni, da qualunque fonte esse provengano, e quindi anche a quelle di origine extracontrattuale” (Cass. Civ. 14.06.2002 n. 8590). La norma a cui bisogna fa riferimento, per stabilire il luogo di adempimento dell’obbligazione, con il quale si stabilisce la competenza per territorio, è quella di cui all’art. 1182 c.c.. Tale norma, che disciplina la gerarchia delle fonti in ordine al luogo di adempimento dell’obbligazione, dà la preferenza alla convenzione, agli usi, alla natura della prestazione o ad altre circostanze ed enuncia taluni criteri in assenza di questi. Nel caso di danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, l’uso generalizzato, fin dall’entrata in vigore della legge sull’assicurazione obbligatoria, è quello di perfezionare il pagamento del dovuto risarcimento, presso il domicilio eletto del danneggiato o, in mancanza, presso la sua residenza o il suo domicilio reale. In ogni caso, va certamente rimeditata la giurisprudenza, di legittimità e di merito, che ritiene che la disciplina di cui all’art. 1182, 3° comma, c.c. si applica alle sole obbligazioni liquide ed esigibili (Cass. Civ. 7.2.2006 n. 2591) e, quindi, “non può riferirsi alle obbligazioni derivanti da fatto illecito, le quali tendono a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se il danno non si fosse verificato e, perciò, hanno per oggetto o la reintegrazione in forma specifica o quella per equivalente, che rappresenta una prestazione mediata e secondaria, ed è un tipico debito di valore e non di valuta”. Invero, non si comprende perché tale criterio di competenza dovrebbe valere per i soli debiti originari di valuta e non anche per i debiti di valore, qual’è quello del danneggiante assicurato nei confronti del danneggiato. In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità, nell’esaminare la natura del debito dell’assicuratore della R.C. auto, ha costantemente affermato che “in materia di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, l’obbligazione diretta dell’assicuratore verso il danneggiato ha per oggetto l’indennizzo derivante dal contratto assicurativo; essa, pertanto, anche quando è adempiuta nei confronti diretti del danneggiato ha natura pecuniaria (debito di valuta) e non si trasforma in debito di valore quale è quello del danneggiante assicurato, perché l’iniziativa del danneggiato non ha altro effetto che quello di mutare coattivamente il beneficiario della prestazione dell’assicuratore. Ne consegue che il giudice, nel liquidare l’indennizzo al danneggiato, deve si considerare che il debito del danneggiante assicurato è di valore, perché questi risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale, ma deve calcolarne l’ammontare pur sempre nei limiti del massimale”(Cass. Civ. 8.6.2004 n. 10817). Ne consegue che, nel caso di danneggiato da sinistro stradale e, quindi, di danneggiato-consumatore, può ritenersi applicabile la disciplina di cui all’art. 1182, 3° comma, c.c. all’obbligazione di valuta dell’impresa di assicurazione.
Pertanto, per tutto quanto argomentato, ha il diritto di convenire in giudizio l’impresa di assicurazione debitrice innanzi al giudice ove egli stesso ha la residenza o il domicilio reale ovvero ove ha eletto il suo domicilio esclusivo. Solo in base a detta lettura, può affermarsi che vengano rispettati i principi costituzionali di effettiva tutela e di difesa del danneggiato, di cui all’art. 24 Cost, e del “giusto processo”, di cui all’art. 111, 1° comma, Cost., norma quest’ultima che deve ritenersi privilegi un’effettiva parità delle armi processuali tra le parti, tra parte forte (assicuratore) e parte debole (danneggiato) del rapporto giuridico di servizio sopra indicato.