Cassazione Civile Sez. III 14 ottobre 2019 n. 25764: il controllo è di competenza del centro trasfusionale, che trasmette al reparto richiedente le sacche etichettate traccianti il donatore risultante dai registri del centro trasfusionale.
Il fatto.
Si discute se sia il medico operatore o il reparto di ematologia rispettivamente responsabile del contagio nella somministrazione di sangue infetto.
La decisione.
In una struttura sanitaria ospedaliera, organizzata in una pluralità di reparti, ove esista un responsabile del reparto di ematologia e del servizio trasfusionale, ciò che compete al chirurgo operatore (sul quale vigila il primario del reparto) è acquisire preventivamente la disponibilità del sangue che può essere necessario per una operazione seguendo i protocolli in uso all’interno della struttura in cui opera, indicare sulla cartella clinica gli elementi indispensabili per individuare in primo luogo se c’è stata trasfusione, in caso affermativo, verificare ed indicare in cartella che il gruppo sanguigno del paziente sia compatibile con il gruppo sanguigno del donatore – verifica obbligatoria prima di somministrare il sangue – e riportare sulla cartella gli elementi identificativi della singola sacca di sangue somministrata.
Non spetta, secondo il Supremo Collegio, al primario di chirurgia, né al chirurgo operatore, effettuare direttamente il controllo sul sangue, né la tenuta dei registri o la verifica della preventiva sottoposizione a tutti i test sierologici richiesti dalla legge della sacche di sangue trasfuse, in quanto si tratta di controlli di competenza del centro trasfusionale, che trasmette al reparto richiedente le sacche di sangue e plasma regolarmente etichettate, il che presuppone la tracciabilità del donatore come risultante dai registri alla cui tenuta è obbligato il centro trasfusionale, ed il superamento dei test obbligatori.
Occorre tenere distinte, quindi, le annotazioni che devono comparire sulla cartella clinica, di competenza dell’equipe chirurgica e le annotazioni che devono comparire sulle sacche di sangue, di competenza del servizio ematologico dell’ospedale.
Deriva da quanto precede che la mancata annotazione sulla cartella del superamento degli esami sierologici non può essere elemento idoneo a ritenere il chirurgo somministrante responsabile per il contagio, in quanto questo controllo ricade sul centro trasfusionale interno. Solo il responsabile dell’acquisizione del sangue, cioè il primario di ematologia, responsabile del centro trasfusionale, può essere responsabile della non completa compilazione della scheda di ciascuna sacca di sangue o della mancata esecuzione da parte del centro da lui diretto, dei controlli previsti dalla legge o della mancata annotazione sulla sacca delle indicazioni previste dalla legge.
La Cassazione riconferma il solco tracciato della responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute per violazione dei suoi obblighi di vigilanza in ordine alla somministrazione di sangue per uso terapeutico, prova che può essere fornita sulla base della regola della preponderanza dell’evidenza che la contrazione di una determinata patologia fosse dovuta appunto alla somministrazione di sangue o di emoderivati infetti (in questo senso Cass. S.U. n. 576 del 2008; Cass. n. 11609 del 2005).
Si afferma infatti costantemente che in tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della salute è responsabile per i danni provocati dall’omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto (Cass. n. 11360 del 2018).
Da ultimo, qualsiasi sia la patologia immunodeficitaria, il Collegio ha riaffermato che, in caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all’apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni ’60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi (Cass. n. 1566 del 2019).
Avv. Carmine Lattarulo ©