Cassazione Civile Sezione I 15 febbraio 2016 n. 2900. Nello specifico, è nullo il contratto che si traduca nella concessione, all’investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all’acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice e nel contestuale mandato conferito a quest’ultima per l’acquisto dei prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi”.
Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità del contratto a natura mista avente ad oggetto la stipulazione di un mutuo da restituirsi in rate mensili, da utilizzarsi per l’acquisto di strumenti finanziari con costituzione di un pegno a favore della banca sui titoli acquistati e l’apertura di un dossier titoli appoggiato su di un contratto di conto corrente. La banca ricorreva in Cassazione.
Per meglio commentare questa sentenza, è opportuno dividere la sentenza in “premessa” e “decisione”.
Premessa. La Corte rileva che le stesse Sezioni Unite, con la pronuncia n. 26724 del 2007, hanno affermato che in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. “contratto quadro”, il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti dì violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto “contratto quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso, (cfr.la successiva in termini n. 8462 del 2014). Le S.U. hanno affermato il medesimo principio anche in ordine alla violazione da parte dell’intermediario “del divieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente qualora abbia un interesse conflittuale (a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l’estensione del suo interesse nell’operazione ed il cliente abbia preventivamente ed espressamente acconsentito per iscritto all’operazione)”.
Decisione. Fatte queste debite premesse, i giudici di piazza Cavour adeguano il suddetto principio, osservando la definizione di “causa” del contratto non più come funzione economico sociale in astratto, ma inteso nello schema negoziale, ove l’interesse dell’investitore è quello di ottenere rendimenti stabili o crescenti e l’interesse dell’intermediario quello di acquisire investitori mediante proposte appetibili ed adeguate, operare nel mercato in modo continuativo e dinamico e realizzare gli investimenti secondo i piani concordati. Tuttavia, le due rispettive cause, “si intrecciano” nella incidenza del rischio che rappresenta, si, la massima realizzazione dell’autonomia privata, ma, al tempo stesso, il suo stesso limite a tale autonomia, essendo tutta la normazione di settore rivolta a dettare regole di condotta per l’intermediario che inducano l’investitore non professionale ad una scelta responsabile mediante un’informazione puntuale ed adeguata ed una preventiva conoscenza del profilo effettivo dell’investitore medesimo oltre che ad una precisa comunicazione preventiva e scritta in ordine ai prodotti finanziari. Entro questa “cornice rigidamente predeterminata” dalla legge primaria e dalla normazione secondaria sia in ordine alle cause di nullità che alle regole di condotta dell’intermediario, i contratti d’intermediazione finanziaria, che hanno ad oggetto i prodotti e gli strumenti finanziari o i servizi d’investimento così come definiti nell’art. 1 del T.U.E. hanno tendenzialmente natura atipica e sono soggetti alla valutazione in concreto della meritevolezza del regolamento d’interessi che ne costituisce il tessuto causale. La Corte intende dare continuita ad un indirizzo recente (Cass. 2736 del 2013) che ha ritenuto enucleabile in particolare dall’art. 1 del T.U.F. il cd. contratto d’investimento il quale “si presta ad assurgere a forma giuridica di ogni investimento di natura finanziaria, ai sensi del citato art. 1, comma 1, lett. u).
La Corte giunge quindi alla soluzione della questione: il contratto d’investimento è, quindi, un contratto atipico ed, in quanto tale, deve essere valutata la meritevolezza degli “interessi” ex art. 1322 II comma codice civile. E’ tale anche quel contratto caratterizzato da una peculiare combinazione di titoli obbligazionari e di quote di un fondo comune d’investimento, nel contesto di un’operazione di finanziamento garantita dal pegno costituito sui medesimi strumenti finanziari e finalizzata sia alla restituzione del finanziamento erogato che alla realizzazione dell’investimento”. La scomposizione in tre contratti è meramente apparente dal momento che l’intero regolamento d’interessi ha lo scopo concreto di garantire una remunerazione ai risparmi dell’investitore mediante l’acquisto di titoli, pagati con l’importo finanziato con il mutuo acceso con esso, garantito da pegno, costituito dai titoli acquistati. Si tratta, pertanto, afferma la Corte, di uno scopo d’investimento che, come precisa esattamente la sentenza n. 776 del 2014 “non può mai sottrarre il contratto che lo persegue alla disciplina dettata dal d.lgs n. 58 del 1998, solo perché le parti lo abbiano qualificato in altre e fantasiose guise, atteso che la nozione di contratto d’investimento finanziario costituisce uno schema atipico”. In ogni caso, nello specifico, si tratta di un contratto atipico nel quale non se ne precisa né il costo, né il rendimento, né le caratteristiche. Non viene evidenziato il rischio collegato all’investimento in fondi che, avendo natura azionaria, espongono il cliente a rischi molto elevati. Inoltre non essendo conosciuto il prezzo di acquisto delle obbligazioni non se ne può mai prevedere il rendimento. Più in generale, il contratto d’intermediazione finanziaria, o come ritenuto da Cass. 2736 del 2013 “d’investimento”, esprime un regolamento d’interessi meritevole di tutela. La Cassazione ovviamente opta per una soluzione negativa che determina la conseguenza dell’improduttività degli effetti del contratto fin dalla stipulazione, inidoneo a vincolare le parti al reticolo di regole che ne compongono la struttura. L’autonomia privata, infatti, deve essere esercitata in modo corretto ordinato e ragionevole. Può essere estesa, in conclusione, anche ai contratti atipici d’intermediazione finanziaria o d’investimento, con riferimento al T.U.F. ed in particolare alle norme di tutela dell’investitore non professionale, la affermazione precettiva delle S.U. (Cass. 26642 del 2014) secondo la quale “il legislatore, predisposta una struttura normativa significante, ha “voluto sottendere a quella medesima struttura un ulteriore significato non espresso costituito dall’interesse dell’ordinamento a che certi suoi principi cardine (buona fede, tutela del contraente debole, parità quanto meno formale nelle asimmetrie economiche sostanziali) non siano comunque violati.” La Corte, quindi, da continuità al principio già emesso con sentenza n. 19559 del 2015: “l’interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell’utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse relative alla gestione di fondi comuni che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., ponendosi in contrasto con i principi desumibili dagli artt. 38 e 47 Cost. sulla tutela del risparmio e l’incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace ove si traduca nella concessione, all’investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all’acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice, e nel contestuale mandato conferito a quest’ultima per l’acquisto dei prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi”.
Avv. Carmine Lattarulo ®