Cassazione Civile Sezione III 13 gennaio 2015 n. 274. Sentenza “manifesto” e storica contro il Fondo di garanzia per le vittime della strada nella quale vengono enunciati importanti principi in tema di oneri di prova e di criteri di valutazione della prova per testimoni in questo specifico ambito. Infatti, chi svolge un lavoro di trincea nella battaglia contro le imprese assicuratrici non potrà fare a a meno di considerare di aver prima o poi subito verdetti di rigetto, a fronte di un (inesistente in ambito di diritto) rigore di maggior onere della prova nei confronti del fondo di garanzia, rispetto ad altre imprese assicuratrice, come se detto organismo fosse ammantato da una sfera di intangibilità da parte del cittadino quando diventa vittima di un sinistro stradale. Ebbene, tanto per cominiciare, la vittima d’un sinistro stradale causato da veicolo non identificato ha l’onere di provare l’incolpevole impossibilità di identificare il responsabile. La “fuga” non è elemento costitutivo della fattispecie astratta prevista dall’art. 19, comma 1, lettera L 24.12.1969 n. 990. Tale norma accorda alla vittima d’un sinistro stradale il risarcimento del danno, ponendo a carico dell”impresa designata, quando il sinistro sia stato causato da un veicolo “non identificato”. Presupposti per l’applicazione di questa previsione sono due: che il veicolo responsabile dei sinistro non sia stato individuato, e di conseguenza non sia stato possibile risalire alle generalità del proprietario; che ciò sia accaduto senza colpa della vittima (Sez. 3, Sentenza n. 24449 del 18/11/2005). La norma pertanto va letta come se dicesse risarcibili da parte delTimpresa designata i sinistri causati da veicoli non identificati, né identificabili con l’uso dell’ordinaria diligenza. La natura diligente o meno di qualsiasi condotta giuridicamente rilevante va compiuta alla stregua dei precetti dettati dall’art. 1176 c.c.. Tale norma stabilisce che è negligente colui il quale tiene una condotta difforme da quella che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto il bonus paterfamilias, ovvero la persona di normale avvedutezza e media istruzione e sensibilità. Nel caso di sinistro stradale causato da veicolo non identificato, pertanto, la responsabilità dell’impresa designata sorge allorché possa affermarsi che la vittima abbia tenuto una condotta negligente ai sensi dell’art. 1176 c.c., cioè difforme da quella esigibile da qualunque altra persona normale nelle medesime circostanze. Secondo la Corte, il relativo giudizio non va compiuto a priori, stabilendo quali siano le condotte dell’automobilista responsabile che giustificano la mancata identificazione, ma a posteriori, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto. Affermare, pertanto, che l’applicabilità deli’art. 19 l. 990/69 dipende dalla dimostrazione d’una fuga del responsabile costituisce falsa applicazione della norma, la quale non pone alcun limite in tal senso. La responsabilità dell’impresa designata potrebbe in teoria essere affermata anche in assenza d’una fuga immediata del responsabile (ad es., nel caso in cui questi fornisca alla vittima dati falsi: Sez. 3, Sentenza n. 15367 del 13/07/2011); cosi come, all’opposto, potrebbe essere negata anche in presenza d’una fuga immediata (ad es.: nel caso in cui il responsabile, datosi immediatamente alla fuga, venga successivamente intercettato e fermato dalle forze dell’ordine, e di tale circostanza la vittima venga portata a conoscenza prima dell’inizio del giudizio rìsarcitorio). Quel che rileva dunque al fini del sorgere dell’obbligazione a carico dell’impresa designata non è accertare se vi sia stata una fuga del responsabile, ma se il veicolo per qualsiasi ragione non sia stato identificato, e se vi sia stata una condotta diligente della vittima. La seconda ragione per la quale l’affermazione della Corte d’appello è erronea è che essa non è coerente con una interpretazione del quadro normativo conforme all’ordinamento comunitario, l’intervento d’un organismo che indennizzi le vittime del c.d. “pirati della strada”, presente nel nostro ordinamento sin dal 1969, è stata in seguito imposta al legislatore nazionale dall’art. 1, comma 4, della Direttiva CE del Consiglio 30.12.1983, n. 84/5, c.d. “Seconda Direttiva r.c.a.” (oggi abrogato e trasfuso ad litteram nell’art. 10, comma 1, della Direttiva 2GQ9/1Q3/CE, del 16.9.2009): scopo della previsione è quello di “garantire la vittima”. Il principio secondo cui tutta la disciplina deil’assicurazione della r.c.a. è preordinata al conseguimento di apprestare la maggior tutela possibile alle vittime della strada costituisce oggi ius receptum nella giurisprudenza della Corte di Costituzionale e della Corte di Giustìzia dell’Unione Europea. Che la tutela della vittima sia stata la finalità principale della legge 24 dicembre 1969 n. 990 è stato affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui il sistema normativo stabilito con la I. n. 990 del 1969, “ponendo in massimo rilievo la tutela del terzo danneggiato per eventi causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, persegue il raggiungimento delle maggiori garanzie patrimoniali in suo favore. A tale scopo [il legislatore] ha istituito l’assicurazione obbligatoria in materia, ponendo così la norma di ordine pubblico che ogni veicolo o natante deve essere assicurato; e ciò in vista della realizzazione, neI settore, delle esigenze di solidarietà sociale cui l’art. 2 Cosi, ha conferito rilevanza costituzionale” (Corte cast., 29-03-1983, n, 77). Questo principio è stato recepito dal diritto comunitario: esso è chiaramente affermato dal II, XII e XIV Considerando della Direttiva 2009/1Q3/CE del Parlamento europeo e del Consìglio, del 16.9.2009 (la quale, peraltro, non ha fatto che recepire le norme previgenti neirordinamento comunitario sin dal 1972); ed è stato più volte ribadito dalla Corte dì giustizia dell’Unione europea (ex multis, Corte giustizia CE 28-03-1996, Bernaldez, in causa C-129/94, in motivazione; Corte Giustizia CE, sez. I 30 giugno 2005, Candolin, in causa C-537/03; Corte giustizia CE, sez. Ili, 9 giugno 2011, Lavrador, in causa C-409/09, e Corte giustizia CE, sez. II, 17 marzo 2011, Carvalho Ferreira Santos, in causa C-484/Q9). Da questo principio di rilievo comunitario e costituzionale, la Corte di Cassazione fa discendere ovviamente molte conseguenze nell’ordinamento interno, sostanziale e processuale: prima fra tutte l’obbligo per l’interprete, in caso di dubbio, di interpretare le norme di legge che disciplinano l’assicurazione r.c.a. in modo coerente con esso (principio vulneratus ante omnia reficiendus, sul quale si veda, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n, 19963 del 30/08/2013). Anche, pertanto, ad ammettere che l’art. 19 I. 990/69 fosse norma ambigua, questa deve essere interpretata in modo coerente col diritto comunitario e con il principio di tutela della vittima da esso sotteso. Avrebbe, per ciò, dovuto escludere che l’intervento dell’impresa designata esigesse necessariamente la presenza d’una fuga del responsabile, perché questa interpretazione avrebbe limitato fortemente il campo applicativo della norma, in contrasto con t princìpi di cui si è appena detto. Pertanto, riassumendo, nel caso di sinistro causato da veicolo non identificato l’obbligo risarcitorio sorge non soltanto nei casi in cui il responsabile si sia dato alla fuga nell’immediatezza deI fattoe ma anche quando la sua identificazione sia stata impossibile per circostanze obiettive, da valutare caso per casof e non imputabili a negligenza della vittima. Un importante altro principio espresso dalla Suprema Corte in questa sentenza manifesto, è quello del criterio di valutazione dell’attendibilità del testimone, nello specifico caso di danno causato a vittima di pirata della strada. Ebbene, mentre non vi è dubbio che il giudice di merito possa ritenere un testimone totalmente attendibile, totalmente inattendibile, ovvero attendibile per alcune dichiarazioni, ed inattendibile per altre, quel che non può, invece, affermare è che un testimone abbia “scarsa credibilità soggettiva”, per poi ritenere “logicamente coerente e intrinsecamente plausibile” la sua deposizione. Infatti, ove il giudice di merito intenda scindere i contenuti della deposizione, credendo ad alcune parti di essa e non ad altre, ha il dovere di indicare le ragioni per le quali sia pervenuto a tale valutazione. La Suprema Corte detta degli esempi: la circostanza che la vittima abbia indicato agli organi di polizia il nome del testimone due settimane dopo il sinistro è irrilevante, perché non vi è al riguardo alcun onere a pena di decadenza; la circostanza che il testimone fosse amico della vittima è anch’essa di per sé irrilevante, in mancanza di elementi obiettivi di’ riscontro che svelassero la falsità della deposizione; la circostanza che il testimone fosse “solidale” con la vìttima, per come esposta in motivazione, molto spesso può costituire una mera illazione se non contenuta negli atti. E’ ben vero che l’inattendibilità d’un testimone può essere desunta anche da indizi, ma questi devono avere comunque ì caratteri dei cui all’art. 2729 c.c. (gravità, precisione, concordanza). Inoltre, la valutazione maggiormente scrupolosa del testimone in danni risarcibili dal Fondo di garanzia è antigiuridica, perchè qualsiasi prova crìtica o storica, ed anzi qualsiasi atto del processo va valutato dal giudicante con attento scrupolo. Peraltro, la posizione della vittima di sinistri causati da un veicolo non identificato, infatti, è parificata dall’ordinamento a quella della vittima di qualsiasi altro sinistro causato da veicoli identificati: e ciò sia sul piano sostanziale, sia sul piano processuale. Tanto si desume dalla già citata Direttiva 84/5, trasfusa nella Direttiva 2009/103, così come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. La Corte di Lussemburgo, infatti, chiamata ad interpretare l’art. 1, alinea 4, della suddetta Direttiva, disciplinate la posizione della vittima di sinistri causati da veicoli sconosciuti, ha affermato che “l’intenzione dei legislatore comunitario era di conferire alle vittime dì danni causati da autoveicoli non identificati una tutela equivalente e avente la stessa efficacia di quella di cui beneficiano le vittime di danni causati da autoveicoli identificati e assicurati” (così Corte giustizia CE, sez. V, 4 dicembre 2003, in causa C-63/Q1, Evans). Sicché, al cospetto d’una disciplina sovranazionale che intende garantire la parità di trattamento tra la vittima d’un sinistro causato da veicolo identificato, e quella d’un sinistro causato da veicolo non identificato, non è consentito al giudicante valutare le prove raccolte nei processo promosso dalla prima con minor rigore, rispetto a quanto faccia nel processo promosso dalla seconda. Un ulteriore aspetto importante di questa sentenza è quello del canone logico della negazione. La Corte afferma che, dati due enunciati “A” e “B”, essi si dicono legati dal rapporto di negazione logica se “A” è falso quando “B” sia vero, e viceversa. Ebbene, sostiene la Corte, ragionare in questo modo: dopo l’investimento la vittima dichiarò di star bene; se stava bene, poteva identificare la targa del veicolo investitore; ergo, il non averlo fatto è condotta negligente che esclude il diritto al risarcimento = vincolo di negazione logica tra il benessere della vìttima e la negligenza: se stava bene poteva identificare; se stava male no. Ma così argomentando, si stabilisce un nesso di esclusione necessaria tra due concetti che tra loro non si escludevano affatto. Peraltro, non è detto che i sintomi si manifestino subito. Ne consegue che, a fronte d’una documentata lesione della salute, l’alternativa logica sarebbe dovuta essere: – o la vittima al momento del fatto riteneva in buona fede dì star bene; ed in questo caso, poiché le lesioni sono indubitabilmente emerse, la scelta di consentire all’automobilista dì allontanarsi non poteva ritenersi negligente; – ovvero la vittima al momento del fatto stava effettivamente male; ed in questo caso il malessere doveva ritenersi una causa sufficiente ad escludere una sua negligenza per la mancata tempestiva identificazione del veicolo investitore. Motivazione impeccabile della Suprema Corte, con tanti distinti saluti a tutti coloro che ritengono che il Fondo di garanzia sia un ente intangibile da sottrarsi a quasi la totalità dei risarcimenti. Avv. Carmine Lattarulo