La CTU è condizione necessaria, ma non anche sufficiente per ottenere il risarcimento della incapacità lavorativa specifica (ovvero del lucro cessante). Lo ha ribadito la Suprema Corte (in ambito di un danno subito da una casalinga) , affermando che l’accertamento di postumi, incidenti con una certa entità sulla capacità lavorativa specifica, non comporta l’automatico obbligo del danneggiante dì risarcire il pregiudizio patrimoniale, conseguenza della riduzione della capacità di guadagno (derivante dalla ridotta capacità lavorativa specifica) e, quindi, di produzione di reddito. Detto danno patrimoniale da invalidità deve, infatti, essere accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse o (trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa) presumibilmente avrebbe svolto, un’attività produttiva di reddito. Cass. 05 febbraio 2013, n. 2644: Cass.12 febbraio 2013, n. 3290). Occorre, in altre parole, la dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa sì sia tradotta in un effettivo pregiudizio patrimoniale. E a tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l’infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali.
Carmine Lattarulo
Il lucro cessante va dimostrato mediante CTU e prova della decurtazione dei guadagni. Cassazione Civile Sezione III 24 aprile 2015 n. 8403.
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