Corte di Cassazione Sezione VI penale – Sentenza 2 aprile 2014 n. 15149. Lontanissimi quegli anni in cui l’insegnante menava scapacccioni agli alunni e riceveva il consenso dei genitori. Senza voler fomentare alcuna polemica e sostenere alcun principio, la Suprema Corte ha risolto una controversia che vedeva un alunno di sette anni offendere e deridere facendo il verso del maiale davanti alla classe, tanto che il maestro gli ha dato “una lezione”: l’ha costretto a mettersi a terra a quattro zampe e a grugnire. Secondo la Corte, il maestro ha commesso “una prevaricazione” e oltretutto ha sbagliato a rispondere ad un atto da lui percepito come “bullistico” con una imposizione del potere. Nel ricorso l’uomo, attraverso il suo avvocato, aveva sostenuto che, considerato “il contesto culturale-ambientale” della scuola, “la lezione di forte contenuto simbolico” imposta all’alunno, che aveva “gravemente compromesso la credibilità dell’insegnante” davanti alla classe, avesse finalità educative e fosse adeguata alle esigenze. Ma la Corte ha sancito che sebbene il comportamento del bambino avesse “certamente messo in crisi la sua credibilità di docente”, rispondere con lo stesso dileggio “all’impertinente offesa” abbia avuto “una ben più accentuata ripercussione sul piano psicologico” del bambino e anche “sulla sfera dell’onorabilità, che è patrimonio anche dei minori”. Inoltre, ad avviso degli ermellini, “appare del tutto fuori centro il riferimento fatto dal ricorrente al contesto ‘bullistico’, alimentato dall’area territoriale ‘mafiosa’, in cui a suo avviso andava inquadrata la condotta”. Si tratta – per la Cassazione – di un’osservazione “non solo palesemente avventata, avuto riguardo della tenera età della persona offesa, ma comunque espressione della distorta idea che di fronte a simili contesti ‘bullistici’ possa reagirsi con metodi che finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) debbano essere risolti sulla base di rapporti di forza o di potere”.
Carmine Lattarulo