Quante volte l’impresa assicuratrice si costituisce nel processo inerente la circolazione stradale e contesta asetticamentela responsabilità? Il danneggiato dovrà quindi assolvere l’onere della prova ex art. 2697 cc. Tale rpova è tuttavia meno rigorosa del previsto. E’ stato affermato con mirabile lucidità dal Tribunale di Taranto (sentenza n. 529/11 Dott. Cavallone) in conformità ai principi di contestazione e non contestazione e non contestazione dei fatti di causa1, nonché soprattutto con il regime processuale vigente, incardinato su preclusioni rigide (per il quale giammai potrebbero valutarsi fatti,
quand’anche emersi nel corso dell’istruttoria, non ritualmente dedotti entro i termini di rito concessi2) e con i principi costituzionali volti a garantire il diritto di difesa in un giusto processo, che chi si debba difendere, essendo onerato dall’onere di superare la presunzione di pari responsabilità di cui all’art. 2054 comma II cc, debba quantomeno sapere l’oggetto dell’accusa che gli si muove. Ove così non fosse, sostiene il Giudice Dott. Cavallone, tanto per rimanere nel caso in questione, si potrebbero porre le seguenti ipotesi:
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una volta che fosse stata articolata rituale prova, positivamente espletata, sulle velocità inferiore al limite previsto (ove ne fosse stata contestata la violazione), il giudice potrebbe asserire la mancata dimostrazione della percorrenza in prossimità del margine destro della carreggiata;
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una volta dimostrata l’infondatezza anche della circostanza appena detta, il giudice e la controparte potrebbero, tuttavia, rilevare ancora l’omessa dimostrazione che la vettura in questione non stesse procedendo a fari spenti;
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una volta che fosse stata data anche detta prova, , si potrebbe sostenere che nessuna prova sia stata forita circa il non aver l’auto proceduto zigzagando;
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ed ancora, pur provata l’infondatzza di tutte le circostanze anzidette, si potrebbe comunque asserire, dal giudice ovvero dalla controparte processuale, l’omessa deduzione e/o dimostrazione che l’attore non abbia tenuto una condotta attenta o, più specificamente, non fosse distratto (con la violazione delle più disparate e fantasiose norme di comune prudenza) e, dunque, ad esempio, mentre operava sull’autoradio, piuttosto che mentre si accendeva una sigaretta, piuttosto ancora che mentre guardava una cartellonistica pubblicitaria o parlava col telefonino.
Insomma, in breve, di ipotesi in ipotesi si potrebbe procedere all’infinito e si troverebbe pur sempre qualche condotta rimasta estranea da quelle oggetto di dimostrazione (come, ad esempio, l’ipotesi che taluno stia procedendo, per scommessa, follia od altra ragione, con una benda sugli occhi: fatto, com’è evidente, estremamente improbabile, ma non impossibile). L’art. 167 comma I cpc, infatti, imponendo al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall’attore a fondamento della sua domanda, fa della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, il quale dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio in ragione che l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’enunciata regola di condotta procssuale, espunge il fatto stesso dal novero degli accertamenti richiesti3. Non sarebbe, infatti, corretto e logico che la parte che agisca per il ristoro di un danno se lo veda negare sol perchè la medesima dovrebbe considerarsi presunta, in base a deduzioni tardive di controparte o rilievi officiosi del giudice (senza, peraltro, che la stessa parte danneggiata abbia modo di contrastare gli stessi nei termini di rito). Continua il Giudice Cavallone: “Si vuol qui, insomma dire che, ad esempio, ove si deduca, da parte di uno dei proprietari e/o conducenti, cinvolti in uno scontro veicolare, che il loro mezzo stesse procedendo ad una determinata velocità (in ipotesi, 20 km/h), non si può inibire al giudice di accertare con la sentenza, l’eventuale falsità del fatto dedotto, emersa nel corso dell’istruttoria, nel caso in cui sia dimostrato, invece, che quel mezzo stesse procedendo ad una diversa (sia pur non dedotta espressamente) velocità (ad esempio, 120 km/h); in tal caso, è la domanda stessa, per come formulata dall’attore che pone i presuppsoti per l’accertamento anzidetto e la infondatezza, acclarata in concreto, della tesi del danneggiato, non può, si ripete, che essere rilevata dal giudice nel valutare la sua istanza. Diverso, invece, è il caso in cui resti il dubbio, caso nel quale non si può, certo, addebitare a chi non abbia potuto difendersi nei termini di rito, avverso una determinata contestazione (perchè mai fattagli contro di essi), di non aver predisposto difese idonee a contrastare qualsivoglia deduzione comportamentale tardivamente effettuata. … In caso contrario, si dovrebbe ritenere che persino chi sia stato tamponato, laddove emerga, ma solo in fase istruttoria, il dubbio circa una sua determinata violazione (mancato funzionamento delle luci degli stop), dovrebbe per ciò solo rispondere di essa, ai sensi dell’art. 2054 comma II cc, senza aver modo di interloquire ed indicare prove a sua confutazione e sulla base del solo dubbio che essa sussista”. In ultima analisi, la contestazione generica equivale a difetto di contestazione. Conferma di quanto sin qui esposto si ricava dalla recentissimo arresto della Suprema Corte (5356/2009): “l’assunto di aver … impugnato e contestato la domanda formulata dalla controparte perchè infondata in fatto e in diritto riguarda un’affermazione difensiva assolutamente generica”. E’, al contrario, specifica una contestazione che contrasta il fatto avverso con un altro fatto diverso o logicamente incompatibile oppure con una difesa che appare seria per la puntualità dei riferimenti richiamati. Quindi, la contestazione deve essere specifica: la disposizione è chiara ove viene sancito che determina un vincolo per il giudice “i fatti non specificatamente contestati. La Cassazione (Cass. Civ. 15 aprile 2009 n. 8933), inoltre, ribadisce che “negare il fatto avverso”, tout court, equivale a contestazione generica. L’onere di contestazione tempestiva deriva da tutto il sistema processuale, come si evince dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena; dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa; dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto, dal generale principio di economia che deve informare il processo, così come previsto dall’art. 111 cost. Conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio. In altri termini, possiamo schematicamente riassumere che, nel giudizio civile, dove prevale il principio dispositivo, fatti non contestati = prove! Il giudice dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente proprio per la ragione che l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola processuale, atteso che quest’ultimo espunge il fatto stesso nell’ambito degli accertamenti richiesti4. Con la novella 69/2009, il concetto è ancor più chiaro. L’onere di contestazione deve ritenersi ormai un principio generale che informa il sistema processuale civile recependo il condivisibile approdo cui ormai è giunta la giurisprudenza di legittimità. Alla luce della collocazione topografica dell’istituto (comma 1 del’art. 115 cpc) i fatti non contestati “devono” essere posti a fondamento della decisione senza che residui discrezionalità per il giudicante, cosa che è consentita solo nel comma 2 dell’art. 115 cpc. La realtà è che la collocazione topografica depone nel senso di dover ritenere “provati” i fatti non contestati e, cioè, farli confluire nel concetto di prova che è menzionato nel comma 1 dell’articolo in esame. E’ quanto già affermava la Suprema Corte prima della legge n. 69/2009: il fatto non contestato non ha bisogno di prova perchè le parti ne hanno disposto, vincolando il Giudice a tenerne conto senza alcuna necessità di convincersi della sua esistenza (Cass. Civ. 20 novembre 2008 n. 27596). Il difetto di contestazione implica l’ammissione dei fatti dedotti in giudizio e produce un triplice effetto: un effetto per chi doveva contestare (e non lo ha fatto); un effetto per il deducente (colui che allega un fatto non contestato), un effetto per il giudice. Per il contestatore: il principio comporta che i fatti allegati dalla parte avversaria, qualora non siano contestati, debbono essere considerati incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione. Per il deducente: questo sarà
esonerato dalla prova. Per il giudice: avrà l’obbligo di ritenere il fatto provato senza svolgere istruttoria al riguardo. L’ultimo momento utile per contestare i fatti avversi è la prima difesa utile; l’onere di contestazione dei fatti si coordina al potere di allegazione dei medesimi e partecipa della sua natura sicchè simmetricamente soggiace agli stessi limiti apprestati per tale potere. Sotto lo stesso principio di economia processuale, anche in ambito di prova, va qui detto solo per inciso che “la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso non deve ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo; nel vigente ordinamento processuale, infatti, vige il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, e quale che sia la parte a iniziativa o a istanza della quale sono formulate concorrono tutte indistintamente alla formulazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro” (Cass. Civ. Sez. I 18 agosto 2010 n. 18647).
Riassumendo:
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la mancanza di contestazione ovvero l’allegazione di fatti favorevoli alla controparte esula il sindacato del giudice;
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la contestazione generica equivale a difetto di contestazione;
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è inammissibie la valutazione di fatti emersi nell’istruttoria non contestati specificamente;
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la contestazione specifica deve essere formulata nei termini di rito.
Avv. Carmine Lattarulo
1Cass. Civ. Sez. III 10 novembre 2010 n. 2283; Cass. Civ. Sez. III 01 giugno 2006 n. 13131; Cass. Civ. Sez. III 29 gennaio 2003 n. 1277; Cass. Civ. Sez. Lav. 05 agosto 2000 n. 10343; Cass. Civ. Sez. Lav. 29 maggio 2000 n. 7114; Cass. Civ. Sez. III 16 febbraio 2001 n. 2331 Cass. Civ. 15 aprile 2009 n. 8933; Cass. Civ. Sez. Lav. 15.04.2009 n. 8933; Cass. Civ. Sez. III 5 marzo 2009 n. 5356; Cass. Civ. Sez. II 20 novembre 2008 n. 27596; Cass. Civ. 18 settembre 2008 n. 23807; Cass. Civ. 21 maggio 2008 n. 13078; Cass. Civ. Sez. I 27 febbraio 2008 n. 5191; Cass. Civ. Sez. III 8 febbraio 2008 n. 3127; Cass. Civ. n. 23638/2007; Cass. Civ. Sez. III 23 mggio 2007 n. 12231; Cass. Civ. Sez. III 28 marzo 2006 n.7074; Cass. Civ. Sez. III 14 marzo 2006 n. 5488; Cass. Civ. Sez. III 28 ottobre 2004 n. 20916; Cass. Civ. Sez. III 25 maggio 2004 n. 10031; Cass. Civ. Sez. I 08 aprile 2004 n. 6936; Cass. Civ. Sez. Un. 11353/2004; Cass. Civ. Sez. III 06 febbraio 2004 n. 2299; Cass. Civ. Sez. I 30 maggio 2003 n. 8764; Cass. Civ. Sez. I 16 gennaio 2003 n. 559; Cass. Civ. Sez. II 05 luglio 2002 n. 9741; Cass. Civ. Sez. Un. n. 761/2002; Cass. Civ. Sez.III 05 marzo 2002 n. 3175; Cass. Civ. Sez. III 01 agosto 2001 n. 10482; Cass. Civ. Sez.III 12 agosto 2000 n. 10789; Cass. Civ. Sez. Lav. 08 agosto 2000 n. 10434; Cass. Civ. Sez.II 13 febbraio 1999 n. 1213; Cass. Civ. Sez. II 04 agosto 1997 n. 7189; Cass. Civ. Sez. I 01 agosto 1994 n. 7156; Cass. Civ. Sez. Lav. 26 agosto 1986 n. 5229; Cass. Civ. Sez. II 06 giugno 1985 n. 3366; Cass. Civ. Sez. Lav. 23 febbraio 1984 n. 1277; Cass. Civ. Sez. II 29 aprile 1982 n. 2710 Cass. Civ. 20 novembre 2008 n. 2759.
2 Cass. Civ. Sez. III 01 giungo 2006 n. 13131; Cass. Civ. Sez. III 29 gennaio 2003 n. 1277; Cass. Civ. Sez. Lav. 05 agosto 2000 n. 10343; Cass. Civ. Sez. Lav. 29 maggio 2000 n. 7114; Cass. Civ. Sez. III 16 febbraio 2001 n. 2331.
4 Cass. Civ. Sez. Lav. 15.04.2009 n. 8933; Cass. Civ. Sez. III 5 marzo 2009 n. 5356; Cass. Civ. Sez. II 20 novembre 2008 n. 27596; Cass. Civ. 18 settembre 2008 n. 23807; Cass. Civ. 21 maggio 2008 n. 13078; Cass. Civ. Sez. I 27 febbraio 2008 n. 5191; Cass. Civ. Sez. III 8 febbraio 2008 n. 3127; Cass. Civ. n. 23638/2007; Cass. Civ. Sez. III 23 mggio 2007 n. 12231; Cass. Civ. Sez. III 28 marzo 2006 n.7074; Cass. Civ. Sez. III 14 marzo 2006 n. 5488; Cass. Civ. Sez. III 28 ottobre 2004 n. 20916; Cass. Civ. Sez. III 25 maggio 2004 n. 10031; Cass. Civ. Sez. I 08 aprile 2004 n. 6936; Cass. Civ. Sez. Un. 11353/2004; Cass. Civ. Sez. III 06 febbraio 2004 n. 2299; Cass. Civ. Sez. I 30 maggio 2003 n. 8764; Cass. Civ. Sez. I 16 gennaio 2003 n. 559; Cass. Civ. Sez. II 05 luglio 2002 n. 9741; Cass. Civ. Sez. Un. n. 761/2002; Cass. Civ. Sez.III 05 marzo 2002 n. 3175; Cass. Civ. Sez. III 01 agosto 2001 n. 10482; Cass. Civ. Sez.III 12 agosto 2000 n. 10789; Cass. Civ. Sez. Lav. 08 agosto 2000 n. 10434; Cass. Civ. Sez.II 13 febbraio 1999 n. 1213; Cass. Civ. Sez. II 04 agosto 1997 n. 7189; Cass. Civ. Sez. I 01 agosto 1994 n. 7156; Cass. Civ. Sez. Lav. 26 agosto 1986 n. 5229; Cass. Civ. Sez. II 06 giugno 1985 n. 3366; Cass. Civ. Sez. Lav. 23 febbraio 1984 n. 1277; Cass. Civ. Sez. II 29 aprile 1982 n. 2710.