Con sentenza della Corte di cassazione – Sezione III – Sentenza 4 giugno 2013 n. 14027, è stata accolta la richiesta di risarcimento di un automobilista che aveva dovuto pagare prezzi più alti a causa di una intesa collusiva, accertata dall’Antitrust nel periodo in questione, poi confermata anche dal Consiglio di Stato. La Suprema corte, che ha ribaltato la sentenza di merito di merito, ha infatti richiamato l’indagine dell’Agcm secondo cui “lo scambio di informazioni fra le compagnie assicuratrici è andato ben oltre le finalità – lecite e fisiologiche per le imprese del settore – di comunicarsi i dati rilevanti per la determinazione del c.d. premio puro (cioè di quella parte del premio che è commisurata alla natura e all’entità dei rischi),
e si è esteso a comprendere i c.d. dati sensibili, che concorrono a determinare l’importo del premio commerciale”. Un comportamento che “ha permesso di incrementare la frequenza degli aumenti di tariffa, passati dall’unica variazione annuale, nel primo anno di liberalizzazione, alle oltre quattro variazioni nel corso del 1999. Ogni impresa era infatti in grado di verificare che i concorrenti si conformassero alle proprie iniziative incrementative, il che consentiva, dopo un periodo di riallineamento, di assumere un’ulteriore, analoga iniziativa”.
Bocciate invece le ragioni dell’assicurazione. I giudici infatti hanno ritenuto non prescritto il termine per l’azione, in quanto decorrente non dal fatto stesso (il contratto stipulato) ma dalla successiva conoscenza dell’intesa collusiva da parte del consumatore, dunque a seguito dell’indagine Antitrust. Infine, i giudici hanno chiarito che “se è vero che l’onere di fornire la prova del nesso causale grava in linea di principio sul danneggiato, è principio altrettanto generale che la prova può essere fornita anche tramite presunzioni, gravi, precise e concordanti”, qui ritenuti sussistenti per via della provata intesa collusiva a cui gli aumenti di tariffa vanno ricondotti.