Cassazione Civile Sezione III 31 marzo 2016 n. 6209: l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente, traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all’esattezza del proprio adempimento.
Il caso.
Due genitori agirono entrambi per il risarcimento dei danni sofferti dalla figlia, in occasione del parto esitato in tetraparesi e grave insufficienza mentale causati da asfissia perinatale. Tribunale e Corte d’Appello respinsero la domanda, addebitando al danneggiato l’onere della prova in ordine ad una cartella clinica lacunosa. I genitori ricorrevano in Cassazione.
La decisione.
La sentenza ha una doppia importante valenza: la responsabilità in campo sanitario e la distribuzione dell’onere probatorio in un più ampio concetto di vicinanza della prova.
E’ noto che la struttura e i sanitari sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento) non può che ricadere a loro carico.
Era già noto che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (principio affermato in Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010); tali principi, che costituiscono espressione del criterio della vicinanza alla prova nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori, assumono una connotazione destinata ad operare non soltanto la valutazione della condotta del sanitario, ma altresì il nesso eziologico fra tale condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente [cfr., oltre alle citate Cass. n. 11316/2003 e n. 10060/20109, anche Cass. n. 12218/2015 (nello specifico caso, i giudici di merito di primo e secondo grado non avevano attentamente valutato un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ritenutosi peraltro che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza)].
Pertanto, la lacunosità o “il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento” non può che ricadere a carico della struttura e dei sanitari, ricorda il Supremo Collegio: l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente, traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all’esattezza del proprio adempimento.
Avv. Carmine Lattarulo ®
La cartella clinica lacunosa ricade sulla struttura
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