Corte di Cassazione Sezione III 27 marzo 2014 n. 7195. La Corte accoglie il ricorso presentato da un uomo che si era visto rigettare la richiesta di risarcimento rivolta al centro che aveva in cura la moglie, affetta da grave patologia tumorale. La Corte ritiene fondata la richiesta del marito che sosteneva che un errore (accertato dal CTU) nel trattamento terapeutico avesse comportato una perdita di chance di sopravvivenza e/o l’accelerazione del decesso della moglie. Secondo il giudizio della Corte, stante l’accertata impossibilità di guarigione, correttamente il ricorrente aveva individuato come termine di riferimento della causalità ai fini dell’individuazione dell’evento dannoso non la morte della moglie, e dunque la mancata guarigione, bensì la perdita della possibilità di vedere rallentato il decorso della malattia e aumentata la durata della sopravvivenza. Ad avviso della suprema Corte, l’errore della Corte territoriale sarebbe stato quello di introdurre «una sorta di distinzione tra chance la cui perdita è risarcibile e chance la cui perdita non sarebbe risarcibile a seconda che la possibilità di conseguire il risultato utile sia superiore o inferiore al 50%», ritenendo giuridicamente risarcibili solo le perdite di chance aventi un grado di probabilità statisticamente rilevante, superiore al 50%. La Corte ritiene questa distinzione contrastante con un precedente analogo nel quale aveva stabilito che «in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, allorché abbia determinato la tardiva esecuzione di un interventi chirurgico, che normalmente sia da praticare per evitare che l’esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo, prima del suo normale decorso, e risulti inoltre che, per effetto del ritardo, sia andata perduta dal paziente la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti» (Cass. 23846/08). Quando si discorre di perdita di chance «va indagato il nesso causale della perdita di tale possibilità con la condotta riferita al responsabile, prescindendo dalla maggiore o minore idoneità della chance a realizzare il risultato sperato (…), ma reputandola di per sé come “bene”, cioè un diritto attuale e autonomo e diverso dagli altri, ivi compreso il diritto alla salute (…)». L’errore risiederebbe dunque nell’aver «equivocato sul concetto di chance risarcibile come perdita della possibilità di conseguire un risultato utile o, comunque, migliore, finendo per rapportarne il concetto, pur enunciato in termini di possibilità, alla probabilità di conseguire il risultato». «In casi come quello di specie, sussiste il nesso causale se l’errore medico ha comportato “più probabilmente che non” la perdita della possibilità di una vita più lunga da parte del paziente, statisticamente accertata, in caso di intervento chirurgico corretto, sulla base di indagini epidemiologiche». Solo in sede di quantificazione del danno «torna rilevante l’idoneità della chance a produrre il risultato utile, nel senso che l’entità del risarcimento andrà commisurata al danno quantificato in ragione della maggiore o minore possibilità di ottenere quel risultato, misurata eventualmente in termini percentuali». «In conclusione va affermato che, in tema di responsabilità medica, dà luogo a danno risarcibile l’errata esecuzione di un intervento chirurgico praticabile per rallentare l’esito certamente infausto di una malattia, che abbia comportato la perdita per il paziente della chance di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto. In tale eventualità la possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di interventi chirurgico corretto». Carmine Lattarulo
La perdita di “chance” di maggiore durata della vita in caso di malattia terminale è un danno risarcibile.
Articolo precedente