Cassazione Civile Sez. III 9 luglio 2020 n. 14605: è’ fondata sul nesso eziologico del “più probabile che non”, intercorrente tra le circostanze di esposizione all’uranio e la patologia riscontrata.
La questione.
Si discute se il risarcimento da uranio impoverito possa ottenersi soltanto allorquando sia stata raggiunta la prova, con la massima certezza, che la contaminazione sia avvenuta nelle zone in missione esposte al rischio.
La decisione.
La sentenza, malgrado la sua estrema sinteticità (sole due pagine di motivazione), è importante, perchè indica la natura della prova che deve offrirsi nella ricerca del neso causale tra esposizione e patologia.
E’ necessario premettere che l’uranio naturale è composto da alcune varietà, isotopi in termine tecnico. L’isotopo 235 viene utilizzato nelle centrali nucleari e nella costruzione della bomba atomica. Lo si estrae dalla massa totale di uranio e lo si aggiunge all’uranio 238 che diventa, così, arricchito. Ciò che resta, cioè quello quasi del tutto privato del prezioso 235, è l’uranio impoverito, una sorta di rifiuto, che tuttavia viene utilizzato nei proiettili e nelle bombe. La temperatura sprigionatasi nella esplosione è sufficientemente per far volatilizzare bersaglio e bomba in atomi o in piccole molecole. Queste entità, trovando un ambiente freddo, si condensano e galleggiano in aria per poi ricadere a terra. Le particelle che galleggiano possono essere inalate e respirate, entrando nei polmoni, mentre quelle che cadono su frutta e verdura possono venire ingerite ed entrano nell’apparato digerente, sviluppando malattie ( se ne contano almeno 78).
La responsabilità dello Stato per danni subiti dai militari all’estero è duplice e deriva dall’assenza di adozione di alcuna misura protettiva, nonchè di informazioni dei particolari pericoli ai quali gli stessi militari venivano esposti.
E’ impossibile escludere i rischi da esposizione ad uranio impoverito di tutti i militari che hanno prestato servizio soprattutto nei Balcani in seguito all’uso di munizionamenti nelle guerre del 1995 e del 1999.
Tuttavia, provare con assoluta certezza che la contaminazione dell’uranio possa essere derivata dalla esposizione in quei luoghi è impossibile.
A questo punto, è più facile comprendere l’importante principio esposto dal Supremo Collegio, il quale, nella sentenza in commento, indica che la natura della prova da fornire è quella di carattere presuntivo, fondata sul nesso eziologico del “più probabile che non”, intercorrente tra le circostanze di esposizione all’uranio e la patologia riscontrata. Oltretutto, è noto l’ecosistema dei Balcani, nel quale vi era presenza di formazione di polveri fini ed ultrafini, il cui trasporto e deposito poteva avvenire anche a grandi distanze dal punto del rilascio.
Nella prassi, per quanto ho potuto constatare nella mia esperienza, lo Stato resiste e non ammette la sua responsabilità. Nel migliore dei casi, riconosce che la morte si avvenuta per causa di servizio, erogando la pensione al congiunto, ma non certamente per causa attinente all’uranio impoverito, in quanto, in tal caso, dovrebbe riconoscere, oltre alla pensione, anche il risarcimento dei danni.
Avv. Carmine Lattarulo ©