Cassazione Civile Sezione III 30 settembre 2014 n. 20548. Il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo allorquando sia il pregiudizio che l’incremento patrimoniale siano diretta conseguenza dell’illecito, sicchè non può essere detratto dal risarcimento quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o reversibilità, oppure di assegni, di equo indennizzo, o di quant’altro erogato dall’assicuratore sociale, giacchè tali erogazioni si fondano su un titolo diverso (rapporto assicurativo o previdenziale) rispetto all’atto illecito e non hanno finalità risarcitorie (Cas. Civ. 2014/5504; 2009/3355; 2005/15822; 2003/8828; 2001/10291; 1997/11440; 1994/6628). Quindi è da escludersi che in conseguenza dell’illecito la parte si possa trovare in una situazione di vataggio patrimoniale, stante la diversa funzione del trattamento dell’assicuratore sociale, non in funzione dell’illecito. La Corte si è affrettata a precisare che in una recente pronuncia abbia affermato principio opposto, ossia che dall’ammontare del risarcimento deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite dopo la morte del danneggiato (sentenza 13537/14): il collegio, tuttavia, ha chiarito che in quella sede si è affermato che l’ammontare corrisposto dall’ente previdenziale rileva non sotto il profilo della compensatio lucri cum damno ma della delimitazione dell’ambito del danno patrimoniale da lucro cessante, laddove incide sulla relativa entità effettiva (affermazione rindondante che non significa un bel niente). Quello che emerge in maniera evidente è che le regole non siano assolutamente chiare.
Avv. Carmine Lattarulo