Cassazione Civile Sezione III 27 marzo 2015 n. 6243. La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833), innestatasi in un contesto ordinamentale che, da sempre, aveva registrato interventi settoriali e privi di organicità in materia di tutela della salute, ha comportato un capovolgimento di prospettiva, attribuendo effettività al precetto dell’art. 32 Cost., attraverso la previsione di un sistema, ispirato al principio della partecipazione democratica all’attuazione dello stesso Servizio sanitario (art. 1, comma terzo), di tutela indifferenziata (artt. 1 e 3) e globale (art. 2) , anche tramite l’individuazione e la fissazione, in sede di approvazione del piano sanitario nazionale (art. 53) , dei “livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini” (art. 3). Nel novero di queste “prestazioni” e, segnatamente, tra quelle “curative” (secondo l’espressa definizione normativa, di cui al combinato disposto degli artt. 19 e 25) la medesima legge n. 833 include 1′”assistenza medico-generica”, che l’art. 14, comma terzo, lett. h) , individua come specifico compito in capo alle Unità sanitarie locali. Pertanto, in forza delle citate disposizioni, le USL “provvedono ad erogare” l’assistenza medico-generica sia in forma domiciliare, che ambulatoriale, assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal piano sanitario nazionale. Avente diritto all’erogazione della “prestazione curativa” di assistenza medico-generica, alla quale è tenuta la USL in base a livelli definiti, è, dunque, il “cittadino”, in quanto “utente” del S.S.N. e come tale iscritto “in appositi elenchi periodicamente aggiornati presso l’unità sanitaria locale nel cui territorio” lo stesso ha la residenza (art. 19, comma terzo). Ed è proprio tramite detta iscrizione che l’utente esercita il diritto di libera scelta del medico, che è assicurato “nei limiti oggettivi dell’organizzazione sanitaria”, cosi godendo dell’assistenza medico-generica, la quale, per l’appunto, “è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino” (art. 25, comma terzo). Dunque, la medesima prestazione curativa è erogata in favore dell’utente o tramite personale dipendente del servizio pubblico, oppure attraverso personale convenzionato con il medesimo servizio (art. 48 della legge n. 833 del 1978 e, successivamente, art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, le quali disposizioni demandano la disciplina del rapporto convenzionato ad appositi accordi collettivi nazionali). Sicché, la scelta del “medico di fiducia”, ove non si opti per il medico pubblico dipendente operante nella USL (giacché la legge postula anche una tale alternativa, sempre frutto di opzione fiduciaria, là dove questa sia resa concretamente esarcitabile in forza di apposito modulo organizzativo in seno alla medesima USL), dovrà necessariamente cadere sul medico convenzionato operante nel comune di residenza dell’utente del S.S.N. (art. 25, quarto), il quale medico, a sua volta, è selezionato “secondo parametri definiti nell’ambito degli accordi regionali”, in modo tale che l’accesso “alle funzioni di medico di medicina generale del Servizio sanitario nazionale … sia consentito prioritariamente ai medici forniti dell’attestato di cui all’art. 2 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256” (art. 8, lett. g, del d.lgs. n. 502 del 1992). La scelta del medico convenzionato per l’assistenza medico-generica avviene, dunque, nei confronti della USL, che cura la tenuta di appositi elenchi in cui sono inseriti i medici con i quali è stato previamente instaurato, con la medesima USL, lo specifico rapporto di convenzionamento (cfr. artt. 19 e 26 del d.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, che ha recepito l’accordo collettivo per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992). In siffatto circoscritto ambito la scelta del medico è, per l’appunto, di carattere fiduciario e tale rapporto – come prevede il comma quinto dell’art. 25 – “può cessare in ogni momento, a richiesta dell’assistito o del medico”; in quest’ultimo caso, tuttavia, “la richiesta deve essere motivata”. Tale scelta è, dunque, un atto dell’utente del S.S.N. destinato a produrre i suoi effetti nei confronti dello stesso Servizio e, per esso, della USL nel cui territorio opera il medico (pubblico dipendente o) in regime di convenzionamento con la stessa USL (art. 48) e, dunque, non direttamente nei confronti del medico prescelto; la rinuncia al medico è, del pari, atto dell’assistito/utente del S.S.N. che produce i suoi effetti nei confronti della USL e, analogamente, opera la ricusazione dell’utente da parte del medico prescelto, la quale, peraltro, deve essere sorretta da giustificazione e, dunque, rimane sindacabile dalla stessa USL (art. 8, comma 1, lett. a e b, del d.lgs. n. 502 del 1992/ art. 27 del d.P.R. n. 484 del 1996). L’utente, dunque, attiva l’erogazione della prestazione curativa di assistenza medico-generica (che è prestazione di durata), cui è tenuta la USL (per il S.S.N.: art. 10 della legge n. 833 del 1978), con la scelta, nei confronti della medesima USL, del sanitario di fiducia, individuato in un determinato contesto territoriale e (ove non pubblico dipendente, se una tale scelta sia resa esercitabile) soltanto tra i medici convenzionati con la USL competente (a loro volta oggetto di accesso selettivo); il medico prescelto è tenuto a prestare l’assistenza medico-generica in quanto convenzionato con la USL e in forza di tale rapporto di convenzionamento. Salvo l’ipotesi della cessazione del rapporto fiduciario nei modi e nei limiti consentiti (dalla stessa USL), il medico convenzionato “è tenuto alla prestazione” (espressione che utilizza anche l’art. 48, comma terzo, n. 11, allorquando consente l’ipotesi di sostituzione temporanea del medico di “fiducia”), ossia non può rifiutare di prestare, in favore dell’utente del S.S.N., l’assistenza medico-generica, in quanto prestazione curativa definita secondo livelli uniformi. E in armonia con tale sistema, che impegna la USL alla erogazione della prestazione curativa di assistenza medico- generica, l’utente e il prescelto medico convenzionato (in quanto tale) concentrano, quindi, il loro rapporto sul piano dello svolgimento in concreto della “prestazione curativa”, che sia riconducibile nell’alveo dell’assistenza medico-generica. L’impianto appena descritto non ha subito sostanziali mutamenti a seguito delle riforme intervenute con il d.l. n. 384 del 1992 (convertito dalla legge n. 438 del 1992) e con il d.lgs. n. 502 del 1992 (ulteriormente modificato dal d.lgs. n. 517 del 1993). L’assistenza medico-generica (o di base) è rimasta tra le prioritarie competenze delle USL (divenute ASL, ovvero aziende dotate “di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica (art. 3 d. lgs n. 502) alle quali spetta di provvedere “ad assicurare i livelli di assistenza di cui all’art. 1 nel proprio ambito territoriale (la cui diversa conformazione in “distretto”, già prevista dal citato art. 3, troverà compiuta definizione con la successiva riforma del 1999), ossia “i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale”, che, includono per l’appunto, detta assistenza medica di base. In base al piano nazionale approvato per il triennio 1994-1996 (d.P.R. 1° marzo 1994), l’assistenza “sanitaria di base” è, infatti, inclusa tra i livelli uniformi di assistenza che devono essere assicurati e garantiti agli utenti del S.S.N., ricomprendendo, tra i vali “livelli analitici” nei quali essa si articola, il “livello di Medicina generale”, che è “costituito dal complesso delle seguenti attività e prestazioni: – visita medica generica e pediatrica, ambulatoriale e domiciliare, anche con carattere di urgenza, con rilascio, quando richiesto, di certificazioni mediche obbligatorie ai sensi della vigente legislazione; eventuali prescrizioni di farmaci, di prestazioni di assistenza integrativa, di diagnostica strumentale e di laboratorio e di altre prestazioni specialistiche in regime ambulatoriale, proposta di invio a cure termali; – richiesta di visite specialistiche, anche per eventuale consulto, ai fini del rispetto della continuità terapeutica; – proposta di ricovero in strutture di degenza, anche a ciclo diurno; partecipazione alla definizione e gestione del piano di trattamento individuale domiciliare in pazienti non deambulanti ed anziani”. Tale è, dunque, nei termini generali – che, tuttavia, ne segnano l’ambito di erogazione – la “prestazione curativa” di assistenza medico-generica alla quale ha diritto l’utente nei confronti della ASL (già USL) ed alla quale, per essa (art. 25 citato), è obbligato il medico “di fiducia” convenzionato, in forza soltanto del rapporto di convenzionamento che lo lega alla ASL, il quale è stipulato (artt. 48 e 8 citati) in base alla disciplina contenuta in accordi collettivi nazionali. Prestazione, questa, per la quale nessun obbligo remunerativo sussiste in capo all’utente nei confronti del medico “di fiducia”; ed anzi il “pagamento anche parziale da parte dell’assistito delle prestazioni previste in convenzione comporta il venir meno del rapporto con il Servizio sanitario nazionale” (art. 8, lett. d, d.lgs. n. 502 del 1992). In altri termini, ciò costituisce illecito disciplinare tipico (artt. 6, comma 2, e 13 del d.P.R. n. 484 del 1996) che determina, per il medico, la sanzione della cessazione del rapporto di convenzionamento. Il medico convenzionato è, infatti, remunerato dalla ASL in forza del rapporto di convenzionamento (artt. 48 della legge n. 833 del 1978 e 8 d.lgs. n. 502 del 1992), il quale – come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (che ha esaminato la tematica eminentemente sotto il profilo della natura del rapporto lavorativo da esso instaurato) – dà luogo non già ad un rapporto di lavoro subordinato (e, dunque, di pubblico impiego), bensì ad un rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato” (e, dunque, di “prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale”, ai sensi dell’art. 409, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), trattandosi, dunque, di un rapporto professionale che si svolge, di norma, su un piano di parità, sebbene sia comunque costituito “in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica” (così, tra le tante, Cass., 13 aprile 2011, n. 8457). Invero, l’assistenza medico-generica, in guanto “prestazione curativa” che è assicurata e garantita, secondo i livelli definiti dal piano sanitario nazionale, dal S.S.N., e per esso dalla ASL, rinviene, al pari delle ulteriori prestazioni rese dallo stesso S.S.N. (e degli oneri correlati per lo svolgimento complessivo del Servizio stesso), le risorse finanziarie necessarie dal “fondo sanitario nazionale” di cui all’art. 51 della legge n. 833 del 1978. Si tratta di finanziamento pubblico al quale concorrono i cittadini con un contributo (art. 63 della medesima legge 833 e successivi interventi legislativi che ne hanno precisato l’ammontare e le modalità di determinazione, accertamento e riscossione, tra i quali lr art. 16 della legge n. 438 del 1981, l’art. 31 della legge n. 41 del 1986, l’art. 14 della legge n. 413 del 1991, l’art. 1 della L. n. 421 del 1992: già cd. “tassa sulla salute”), che la giurisprudenza di questa Corte ritiene fermamente essere di natura tributaria, quale imposta (e non già tassa per la fruizione di un servizio) con destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche, nonché riconducibile, quale sovraimposta IRPEF, alle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2871). Il rapporto di convenzionamento, pertanto, si distingue nettamente da quello della “libera professione” che il medico di medicina generale può svolgere in favore di chiunque, ma al di fuori della prestazione curativa di assistenza medico- generica, senza, peraltro, recare “pregiudizio al corretto e puntuale svolgimento degli obblighi del medico, nello studio medico e al domicilio del paziente”, che detto rapporto di convenzionamento impone (art. 8, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 502 del 1992). Anche le successive vicende normative confermano il medesimo assetto ordinamentale, accentuando semmai – nell’ambito della compiuta definizione degli standard di assistenza sanitaria, ora quali “livelli essenziali di assistenza” (art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992, modificato dal d.lgs. n. 269 del 1999: cd. LEA) – i caratteri del sistema, in base ad una organizzazione sempre più volta a compenetrare l’azione delle “strutture operative a gestione diretta” (ossia quelle che si avvalgono del personale dipendente delle ASL) con i medici di medicina generale (art. 3-quinquies), ai quali resta sempre affidata 1′”assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale”, la quale è realizzata attraverso “il necessario coordinamento e l’approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi specialistici ambulatoriali” (art. 3 citato). Ed ancor più stringenti sono diventati i principi che devono essere considerati dagli accordi collettivi di cui all’art. 8 citato (come modificato dal citato d.lgs. n. 229 e da successivi interventi legislativi), ai quali devono conformarsi le convenzioni con i medici di medicina generale. Principi che, tra l’altro, riguardano (comma 1): la necessità che le prestazioni da assicurare siano ricondotte ai LEA e che siano erogate in base a standard (lett. b- septies); l’organizzazione sull’arco dell’intera giornata dell’attività assistenziale, con offerta integrata tra medici di medicina generale, guardia medica e medicina dei servizi e degli specialisti ambulatoriali (lett. b-bis) ed individuazione di obiettivi e programmi da parte delle ASL (lett. b-aexies); la previsione dell’accesso “al ruolo unico per le funzioni di medico di medicina generale del Servizio sanitario nazionale”, in base ad “una graduatoria unica per titoli” (lett. f) ; la previsione della “adesione obbligatoria dei medici all’assetto organizzativo e al sistema informativo definiti da ciascuna regione, al Sistema informativo nazionale, compresi gli aspetti relativi al sistema della tessera sanitaria” (lett. A-ter) . Ciò in un contesto in cui viene ad affermarsi, dopo la riforma costituzionale del 2001, incidente sul Titolo V della Parte seconda della Costituzione, il concorso di competenze statali e regionali nella materia della tutela della salute, spettando allo Stato, in particolare, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 11*7, secondo comma, lett. m, Cost.). In definitiva, l’impianto normativo sopra ricordato consente di affermare che l’assistenza medicogenerica è prestazione curativa che l’utente del S.S.N. ha diritto di ricevere secondo il livello stabilito dal piano sanitario nazionale (e, in epoca successiva, in base ai LEA) e, in questi termini, la ASL ha l’obbligo di erogare. Tale è, del resto, la prospettiva verso cui, proprio in riferimento alle prestazioni assicurate dalla legge n. 833 del 1978, si è decisamente orientata la giurisprudenza costituzionale, assumendo che «ogni persona che si trovi nelle condizioni obiettive stabilite dalla legislazione sull’erogazione dei servizi sanitari ha “pieno e incondizionato diritto” a fruire delle prestazioni sanitarie erogabili, a norma di legge, come servizio pubblico a favore dei cittadini» (C. cost. , sent. n. 455 del 1990 e, in precedenza, sent. n. 175 del 1982). Dunque, occorre ribadire che il rapporto dell’utente con il S.S.N., nell’ambito del quale trova effettività il diritto alla salute (art. 32 Cost.) in quanto diritto costituzionale “a prestazioni positive”, basato su norme costituzionali di carattere programmatico (C. cost., sent. n. 218 del 1994), viene a connotarsi dei tratti del diritto soggettivo pieno ed incondizionato, ma nei limiti e secondo le modalità prescelte dal legislatore nell’attuazione della relativa tutela, ben potendo detti limiti e modalità essere conformati dai condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nella distribuzione delle risorse finanziarie disponibili (tra le altre, C. cost., sentenze n. 309 del 1999, n. 432 del 2005 e n. 251 del 2008). – Il diritto soggettivo dell’utente del S.S.N. all’assistenza medico-generica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente (dapprima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA), nasce, dunque, direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di “personale” medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato”). Il medico convenzionato, scelto dall’utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l’assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento (e non già in base ad un titolo legale o negoziale che costituisca un rapporto giuridico diretto con l’utente), il quale rappresenta altresì la fonte che legittima la sua remunerazione da parte, esclusivamente, della ASL (essendo vietato qualsiasi compenso da parte dell’utente). Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi (e, poi, dei LEA) da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta. Si viene, dunque, a configurare a carico della ASL una obbligazione ex lege di prestare l’assistenza medicogenerica all’utente del S.S.N., che viene adempiuta attraverso (secondo l’ipotesi che specificamente qui interessa) l’opera del medico convenzionato. Sebbene non derivante da “contratto” (né, ovviamente, da fatto illecito), la sua fonte è comunque da ricomprendersi tra quelle contemplate dall’art. 1173 cod. civ. (ossia, in “atto e fatto idoneo a produrle”) e la relativa disciplina è quella, se non altrimenti specificamente derogata, di cui al titolo I (“Delle obbligazioni in generale”) del libro quarto del codice civile e cioè dettata dagli artt. 1173 e ss. cod. civ. Si tratta, dunque, di obbligazione guoad effectum contrattuale, per cui, segnatamente nella sua fase patologica, vengono in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 1218 e ss. cod. civ. In altri termini, posto che l’assistenza medico-generica si configura – nei limiti in cui la legge ne assicura l’erogazione – come diritto soggettivo pieno ed incondizionato dell’utente del S.S.N., questi è “creditore” nei confronti della ASL, che, in quanto soggetto pubblico ex lege tenuto ad erogare detta prestazione curativa (per conto del S.S.N.), assume la veste di “debitore”. Il “debitore” ASL, nell’erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico-generica, si avvale, poi, di “personale” medico dipendente o in rapporto di convenzionamento. In particolare, il rapporto di convenzionamento, come detto, assume natura di rapporto di lavoro autonomo, ma con i caratteri della “parasubordinazione”, ossia – come affermato costantemente da questa Corte (tra le tante, Cass., 19 aprile 2002, n. 5698) – in presenza della continuità della prestazione, della sua personalità e, in particolare, della coordinazione, “intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall’ingerenza di quest’ultimo nell’attività del prestatore”. E tali caratteri sono stati da sempre riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte (come in precedenza evidenziato) nel rapporto di convenzionamento tra medici generici e ASL, operando i primi per il soddisfare gli scopi istituzionali della seconda. Proprio in tale ottica risulta, del resto, significativo il riferimento, che si coglie segnatamente nel citato d.P.R. n. 484 del 1996, alla figura del medico di medicina generale come “parte integrante ed essenziale dell’organizzazione sanitaria complessiva”, operando “a livello distrettuale per l’erogazione delle prestazioni demandategli dal Piano sanitario nazionale”. Dunque, il medico generico convenzionato è ausiliario della ASL quanto all’adempimento (e, in tal senso, proprio limitatamente all’adempimento dell’obbligazione, senza incidere quindi sulla soggettività del relativo rapporto, il medico convenzionato può caratterizzarsi anche come sostituto della ASL) , da parte di quest’ultima, dell’obbligazione ex lege di prestare assistenza medico-generica all’utente iscritto negli elenchi del S.S.N. Il medico convenzionato non è, infatti, parte di detto rapporto giuridico obbligatorio, di durata, ma interviene nella fase del suo svolgimento, per rendere la prestazione curativa che la USL è tenuta per legge ad erogare secondo livelli prestabiliti normativamente. E l’adempimento dovrà avvenire nell’ambito di tale predeterminata prestazione, come tale soggetto al controllo della stessa ASL (cfr. art. 12 del d.P.R. n. 484 del 1996, sulla responsabilità del medicogenerico per infrazioni alle norme sulle prescrizioni e proposte sanitarie; così come, peraltro, il controllo del debitore ASL si esercita sull’idoneità dei locali e delle attrezzature utilizzati dal medico convenzionato per rendere la prestazione curativa dovuta, nonché sul rispetto dell’orario, predeterminato, ad essa dedicato: art. 22 del medesimo d.P.R.), rimanendo la prestazione medesima, ovviamente, libera nei contenuti tecnici-professionali suoi propri (come, del resto, lo è in tutti i casi in cui essa viene prestata, sia in regime di subordinazione, che libero professionale) , in quanto espressione di opera intellettuale a carattere scientifico, oggetto di protezione legale (art. 2229 cod. civ.). Di qui, pertanto, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell’adempimento della prestazione curativa di assistenza medico-generica, l’operatività dell’art. 1228 cod, civ. nei confronti della stessa ASL, quale norma che questa Corte, del resto, ha già ritenuto pienamente applicabile in riferimento alla posizione della struttura sanitaria pubblica (e, quindi, in relazione alla pubblica amministrazione) per l’attività sanitaria svolta dal personale medico dipendente, là dove la natura del rapporto che lega l’ausiliario al debitore non assume però rilievo ai fini dell’applicazione della stessa anzidetta disposizione.Infatti, perché possa operare l’art. 1228 cod, civ. Non è affatto dirimente la natura del rapporto che lega il debitore all’ausiliario, ma trova fondamentale importanza la circostanza che il debitore in ogni caso si avvalga dell’opera del terzo nell’attuazione della sua obbligazione, ponendo tale opera a disposizione del creditore, sicché la stessa risulti così inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio (Cass., 26 maggio 2011, n. 11590). La responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova allora radice non già in una colpa in eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensi nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione : «sul principio cuius commoda euius et incommoda, o, più precisamente, dell’appropriazione o “awalimento” dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino» (cosi Cass., 6 giugno 2014, n. 12833). Nella fattispecie (diversamente, quindi, da altre ipotesi in cui il servizio pubblico venga devoluto a privati, come accade per le concessioni di pubblico servizio, là dove il rapporto che si instaura – al di là della fonte che lo possa regolare – è direttamente con il concessionario, il quale è debitore dell’utente del servizio e, pertanto, non ausiliario della p.a. concedente, potendo quest’ultima semmai rispondere dell’operato del concessionario solo per omessa vigilanza od omesso controllo), l’obbligo di erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico-generica sussiste esclusivamente in capo alla USL ed essa è resa avvalendosi del medico con essa ASL convenzionato, che assume rilievo in guisa di elemento modale dell’adempimento di detta prestazione di durata, senza che tale fenomeno possa essere intaccato dalla “scelta” dell’utente, la quale, oltre ad essere effettuata a monte nei confronti del debitore ASL (senza giuridico coinvolgimento del medico prescelto), è ristretta “nei limiti oggettivi dell’organizzazione dei servizi sanitari” e, dunque, esercitabile nell’ambito del “personale” del S.S.N. che la stessa ASL ha previamente selezionato, mediante l’accesso al convenzionamento. E’, dunque, una scelta che si realizza all’interno dell’organizzazione del servizio sanitario predisposto dalla ASL, del quale il medico convenzionato è parte integrante, e, quindi, come tale, cade sempre su un “ausiliario” della stessa ASL. In tale ottica rileva, pertanto, la stessa giurisprudenza di questa Corte che ha affermato l’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della responsabilità ex art. 1228 cod. civ. della struttura sanitaria, della scelta del medico da parte del paziente (o del suo consenso su quella operata dalla stessa struttura), là dove il medico prescelto sia inserito nella struttura anzidetta (cfr., tra le altre, Cass., 14 luglio 2004, n. 13066; Cass., 2 febbraio 2005, n. 2042; Cass., 26 gennaio 2006, n. 1698; Cass., 13 aprile 2007, n. 8826). Del resto, che il fattore della “scelta fiduciaria” non assuma rilievo dirimente negativo in funzione della configurazione del medico convenzionato come “ausiliario” è circostanza che trova conforto anche nel fatto – già in precedenza messo in risalto – che è la stessa legge a consentire che detta scelta possa investire, in via alternativa, pure il medico dipendente della ASL, cosi da rendere fungibili i possibili moduli organizzativi volti ad assicurare, da parte della ASL, la prestazione di assistenza medico-generica, nei limiti (livelli e standard) in cui questa è normativamente erogabile. E ciò fornisce anche la dimensione di quanto 1’aspetto attinente ai contenuti tecnico-professionali della prestazione non incida sulla complessiva ricostruzione giuridica che precede, posto che non è dato dubitare che anche il medico in regime lavorativo dipendente con la ASL – e, quindi, in rapporto di sicura “ausiliarietà” con la medesima Azienda – debba godere, ove fosse scelto come “medico di fiducia”, di piena autonomia quanto al concreto dispiegarsi della prestazione curativa in favore del paziente, utente del S.S.N. Dunque, non può che ribadirsi che il medico generico (o di base) convenzionato, nello svolgimento della propria attività professionale, adempie una obbligazione della ASL nei confronti degli assistiti/utenti del S.S.N. e la adempie per conto e nell’interesse di quella. – Quanto, poi, alla natura della responsabilità del medico convenzionato nei confronti dell’utente con il quale non sussiste alcun vincolo negoziale od obbligatorio ex lege preesistente all’espletamento in concreto della prestazione curativa, è sufficiente osservare che essa è da ricondursi al “contatto sociale”, tenuto conto dell’affidamento che egli crea per essere stato prescelto per rendere l’assistenza sanitaria dovuta e sulla base di una professione protetta. La sua prestazione (e per l’effetto il contenuto della sua responsabilità) per quanto non derivante da contratto, ma da altra fonte (art. 1173 cod. civ.), ha un contenuto contrattuale (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte a partire dalla sentenza n. 589 del 22 gennaio del 1999). Le complessive considerazioni che precedono consentono, quindi, di superare le obiezioni mosse dalla parte controricorrente, sulla scorta, segnatamente, della giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte (incentrata sull’assenza di controllo e vigilanza della ASL sul medico convenzionato, anche in relazione ai contenuti della prestazione prettamente professionale; sulla mancanza di immedesimazione organica del medico nella ASL; sulla mancanza di ogni rapporto, o “contatto”, tra ASL e cittadino paziente e sul riconoscimento che «unico debitore del “servizio sanitario” deve essere considerato il medico»: tra le altre, Cass. pen. n. 34460/2013, Cass. pen. n. 36502 del 2008, Cass. pen. n. 41982 del 2012), alla quale aveva fatto riferimento anche la Corte di appello di Torino nella impugnata sentenza, erroneamente escludendo la responsabilità civile della ASL TO 4. Deve, pertanto, essere enunciato il seguente principio di diritto: «L’ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. , del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge».
Carmine Lattarulo