Cassazione Civile Sezione I 9 febbraio 2016 n. 2535: la banca deve segnalare le operazioni non adeguate e deve indicare le ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. Il modulo prestampato e firmato non costituisce dichiarazione confessoria, ma mera formulazione di un giudizio. In mancanza di prova della diligenza della banca, posta a suo carico, questa sarà tenuta anche al risarcimento degli eventuali danni (oltre che alla restituzione del capitale investito male).
Il caso. Due clienti convenivano in giudizio la banca chiedendo dichiararsi la nullità di due contratti di investimento in obbligazioni Cirio con condanna della banca convenuta alla restituzione delle somme versate per l’acquisto di tali titoli. Il Tribunale rigettava la domanda, tuttavia accolta dalla Corte di Appello. La banca ricorreva in Cassazione.
La decisione. La Cassazione tiene conto di “una presa di coscienza, da parte del legislatore nazionale – sulla scorta di sollecitazioni di rango europeo -, dell’estrema delicatezza e complessità delle operazioni di investimento che si vanno a compiere da parte di soggetti che, nella quasi totalità dei casi, sono scarsamente consapevoli dei rischi, spesso assai elevati, che possono incontrare nell’investire i propri risparmi nell’acquisto di titoli non affidabili”. In questo disegno deve essere letta questa sentenza “manifesto” che detta i criteri di affidamento del cliente verso la banca ai quali quest’ultima deve sottostare affinchè l’operazione finanziaria non venga dichiarata nulla.
L’art. 21, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevede, in via generale, che: “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente in formati; (…..)”. Dispone, poi, l’art. 28 del Regolamento CONSOB n. 11522 del 1998 (abrogato con decorrenza dal 2 novembre 2007 dall’art. 113 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007 n. 16190, con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, ma applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis), che: “gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”. Il successivo art. 29 del medesimo Regolamento stabilisce, infine, che: “gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione; ai fini di cui al comma 1; gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati; gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione; qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Secondo il Supremo Collegio, gli obblighi facenti capo ai soggetti abilitati a compiere operazioni finanziarie (obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza, obbligo di informazione, obbligo di evidenziare l’inadeguatezza dell’operazione che si va a compiere) hanno un fine unitario, quello di segnalare all’ investitore la non adeguatezza delle operazioni di acquisto di prodotti finanziari che si accinge a compiere (cd. suitability rule).
“Ogni investitore razionale è avverso al rischio” – secondo gli ermellini – sicchè il medesimo, a parità di rendimento, sceglierà l’investimento meno aleatorio ed, a parità di alea, quello più redditizio, se non si asterrà perfino dal compiere l’operazione, ove l’alea dovesse superare la sua propensione al rischio. La scelta tra differenti opportunità di investimento è, quindi, essenzialmente un problema di raccolta e di valutazione di informazioni, ovvero di ogni dato sulla natura dello strumento finanziario, sul suo emittente, sul suo rendimento e sull’economia nel suo complesso, compresa l’informativa circa l’eventuale sussistenza, con riferimento alla singola operazione da porre in essere, di una situazione di cd. grey market, ovverosia di carenza di informazioni circa le caratteristiche concrete del titolo ed il rating del prodotto finanziario nel periodo in considerazione, o – addirittura – di una situazione di imminente default economico dell’ente o dello Stato emittente.
Ed è evidente che, essendo le informazioni finanziarie complesse e costose, nei rapporti di intermediazione finanziaria le imprese di investimento posseggono frammenti informativi diversi e superiori rispetto a quelli a disposizione degli investitori, o da essi acquisibili. Nel senso dell’unitaria finalizzazione degli obblighi dei soggetti autorizzati a compiere le operazioni in parola a consentire la cd. suitability rule (regole di adeguatezza delle operazioni), depone, del resto, il richiamo che l’art. 29, comma 2, del Regolamento n. 11522 del 1998 opera al precedente art. 28, sancendo che “ai fini di cui al comma 1” – ossia per stabilire se l’operazione sia, o meno, adeguata, dovendo in caso di inadeguatezza dell’operazione l’intermediario astenersi dal compierla – “gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all’art. 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati”. E’ di chiara evidenza, pertanto, che l’obbligo di informazione (art 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e art. 28 del Regolamento n. 11522 del 1998) e l’obbligo di segnalare la non adeguatezza dell’operazione e di indicare “le ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” (art. 29 del Regolamento cit.), confluiscono nell’unitario obbligo di diligenza, di correttezza e di trasparenza dell’intermediario finanziario, sancito dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998.
Del resto, la Suprema Corte si era già espressa in tale senso nelle note sentenze Cass. 17340/2008 e Cass. 22147/2010 alle quali ha inteso are continuità, ove aveva affermato che la banca intermediaria ha l’obbligo di fornire all’investitore “un’informazione adeguata in concreto”, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”. Quindi, la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza, conseguente alle informazioni ricevute, della rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non può – di certo – costituire dichiarazione confessoria, in quanto è rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (Cass. 6142/2012). Tale dichiarazione può, al più, affermano i giudici di piazza Cavour, comprovare l’avvenuto assolvimento degli obblighi di informazione incombenti sull’intermediario, sempre che sia corredata da una, sia pure sintetica, indicazione delle caratteristiche del titolo, in relazione al profilo dell’investitore ed alla sua propensione al rischio, tali da poterne (ed è questo il passaggio importante) “sconsigliare l’acquisto”, come nel caso in cui venga indicato nella dichiarazione che si tratti di titolo non quotato o emesso da soggetto in gravi condizioni finanziarie (Cass. 4620/2015). La modulistica prestampata, pertanto, sembra valere più per sconsigliare, che non per consigliare. In parole povere, non serve proprio ad un bel niente.
La Corte valuta, poi, la possibilità che sia il cliente a dare istruzioni alla banca. Secondo la Cassazione, tuttavia, sussiste comunque la facolta di recedere dall’incarico, per giusta causa, ai sensi degli artt. 1722, comma 1, n. 3 e 1727, comma 1, cod. civ., qualora non si ravvisi tale adeguatezza. Infatti, se è vero che, a differenza della legge n. 1 del 1991, art. 8, lett. e), (“il cliente può impartire istruzioni vincolanti sulle operazioni da effettuare salvo il diritto di recesso della società ai sensi dell’art. 1727 c.c.”), l’art. 24, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 58 del 1998, nel testo vigente ratione temporis, precedente la novella introdótta dall’art. 4 del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, non ha fatto espressamente salvo il diritto di recesso del gestore ai sensi dell’art. 1727 c.c., ebbene, nondimeno “ciò non significa che le istruzioni del cliente siano in ogni caso vincolanti”: secondo la Cassazione, deve tenersi conto del più ampio diritto di recesso attribuito all’intermediario dall’art. 24, comma 1, lett. d), (nel testo vigente ratione temporis), esercitabile anche in presenza di ordini chiaramente rischiosi, idonei ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso, ai sensi dell’art. 1727, comma 1, c.c. (cfr. Cass. 7922/2015; 12262/2015); la dichiarazione del cliente, contenuta nell’ordine di acquisto di un prodotto finanziario, quand’anche il medesimo dia atto di avere ricevuto le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del “grado di rischiosità”, non può essere comunque qualificata come confessione stragiudiziale, essendo a tal fine necessaria la consapevolezza e volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte, che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio. Siffatta dichiarazione è, peraltro, altresì inidonea ad assolvere gli obblighi informativi prescritti dagli artt. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e 28 del Reg. Consob n. 11522 del 1998, integrando la stessa un’affermazione del tutto riassuntiva e generica circa l’avvenuta completezza dell’informazione sottoscritta dal cliente (Cass. 11412/2012).
Basti citare in proposito l’art. 27 del Regolamento CONSOB del 29 ottobre 2007, n. 16190 (una ben più lunga, dettagliata ed analitica indicazione degli specifici obblighi informativi è contenuta negli articoli successivi), con il quale è stata attuata la Direttiva MIFID n. 2004/39/CE, a norma del quale: “tutte le informazioni, comprese le comunicazioni pubblicitarie e promozionali, indirizzate dagli intermediari a clienti o potenziali clienti devono essere corrette, chiare e non fuorvianti; le comunicazioni pubblicitarie e promozionali sono chiaramente identificabili come tali; gli intermediari forniscono ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropriate affinché essi possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio di investimento e del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole; tali informazioni, che possono essere fornite in formato standardizzato, si riferiscono: a) all’impresa di investimento e ai relativi servizi; b) agli strumenti finanziari e alle strategie di investimento proposte, inclusi opportuni orientamenti e avvertenze sui rischi associati agli inve stimenti relativi a tali strumenti o a determinate strategie di inve stimento; c) alle sedi di esecuzione, e d) ai costi e oneri connessi”.
La Corte di Cassazione analizza anche la possibilità del cliente di chiedere il risarcimento dei danni. In mancanza di prova della diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico, onere che ricade sulla banca (art. 23, ultimo comma, del d.lgs. n. 58 del 1998), questi sarà, pertanto, tenuto al risarcimento degli eventuali danni causati al risparmiatore (Cass. 18039/2012), che devono, di conseguenza, considerarsi, in difetto di prove di segno contrario da parte dell’ intermediario in nesso di causalità con la predetta condotta inadempiente. Pertanto, ai fini della risarcibilità del danno subito, è sufficiente che l’investitore alleghi da parte della banca o dell’intermediario finanziario l’inadempimento delle obbligazioni poste a loro carico dall’art. 21 dei d.lgs. n. 58 del 1998 (integrato dalla normati va secondaria) e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento, incombendo, per contro, sull’intermediario l’onere di dimostrare d’aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 22147/2010; Cass. 4620/2015).
Avv. Carmine Lattarulo
Le operazioni finanziarie inadeguate per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione sono nulle.
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