Preliminarmente al dibattito che si snoderà qui di seguito, va confermato un principio dogmatico: nella fase stragidiziale esiste un’attività dell’avvocato che deve essere remunerata. Le prestazioni stragiudiziali, essendo strettamente connesse e propedeutiche al mandato ad item, sì da potersi considerare attività complementari di quella propriamente processuale, assumono natura di prestazioni giudiziali e trovano, pertanto, adeguato compenso nella tariffa che forma oggetto di liquidazione con la nota di cui all’art. 75 att. cpc: “in tema di compensi professionali di avvocati e procuratori non possono essere considerate come stragiudiziali, ed essere perciò compensate separatamente da quelle giudiziali, quelle attività professionali che seppure non esplicate davanti al giudice siano con quelle giudiziali strettamente connesse e complementari sì da costituire di esse il naturale completamento.
Tale connessione poi, e quindi la natura giudiziale della prestazione, deriva dallo stesso tenore della tariffa giudiziale professionale ogni volta che la prestazione stessa sia in essa esplicitamente prevista, come nel caso delle informazioni scritte o telefoniche del professionista al cliente circa l’andamento del giudizio e lo svolgimento delle udienze, previste nella tabella delle prestazioni giudiziali sotto la voce “consultazioni e corrispondenza con il cliente” (Cass. Civ. Sez. II 23 maggio 1992 n. 6214).
Anche le spese relative all’assistenza tecnica nella fase stragiudiziale della gestione del sinistro costituiscono danno patrimoniale consequenziale dell’illecito, secondo il principio della regolarità causale (art. 1223 c.c.). Ed è palese che, qualora i danneggiati avessero affidato ad un legale, e non ad una agenzia di infortunistica, la gestione dei loro interessi nella fase stragiudiziale avrebbero dovuto sopportare spese probabilmente non inferiori a quelle effettivamente sostenute (Cass. Civ. Sez. Unite 24.06.2008 n. 26973). Vediamo se dette spese debbano essere riconosciute, ad onta dell’esecrabile principio dettato dal legislatore dell’indennizzo diretto. La Suprema Corte recita che “non è dubbio che l’attuale sistema legislativo in materia di circolazione stradale è composto di vari interventi legislativi susseguitisi nel tempo, non è di agevole conoscenza da parte degli utenti e che non tutti hanno il tempo disponibile per l’adempimento delle relative formalità … Vale allora considerare che l’intervento di un professionista … è necessario non solo per dirimere eventuali divergenza su punti della controversia, quanto per garantire già in questa prima fase la regolarità del contraddittorio, ove si osservi che l’istituto assicuratore non solo è economicamente più forte, ma anche tecnicamente organizzato e professionalmente attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale, attesa la complessità e molteplicità dei principi organizzatori della materia”. Pertanto, l’utente che si reca dall’avvocato non può sapere all’atto del conferimento dell’incarico se l’offerta arriverà nello spatium deliberandi dei sessanta/novanta giorni e se questa sarà congrua. Sa semplicemente che, per i motivi suddetti, deve rivolgersi da un avvocato che sappia guidarlo nella giungla del risarcimento. Che poi il risarcimento sia giusto e tempestivo, una volta tanto, non se ne può fare una colpa certamente al danneggiato al quale spetta comunque il pagamento delle spese legali, inteso come danno accessorio. Pertanto, la stessa Corte, continuando la massima, ha aggiunto che “in tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con legge n. 990 del 1969 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, ad ottenere il rimborso delle relative spese legali” (Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2005, n. 11606). Lo stesso principio è stato ribadito successivamente con sentenza della III Sezione, del 2 febbraio 2006 n. 2275. Sebbene tale sentenza rievochi stereotipatamente lo stesso tenore letterale della massima precedente, è sintomatico sottolineare l’orientamento ripetuto alla luce della legge sull’indennizzo diretto che aveva già visto la luce nell’anno precedente, ossia il 7 settembre 2005 (d. lgs. n. 209). La considerazione è notevole, in quanto la Suprema Corte ha voluto ribadire il suo sferzante orientamento avverso quello del legislatore che aveva emanato il provvedimento sull’indennizzo diretto, sebbene non ancora entrato in vigore. Lo stesso articolo, poi, postula l’assistenza tecnica e informativa che l’impresa di assicurazione deve fornire al danneggiato, utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche al fine della quantificazione dei danni a cose e ai veicoli, il suo controllo e l’eventuale integrazione, l’illustrazione e la precisazione dei criteri di responsabilità di cui all’allegato a). Il danneggiato, in pratica, deve denunciare di aver avuto un sinistro alla propria compagnia di assicurazione. L’impresa di assicurazione che deve pagare, a quel punto, si autocompila la richiesta di risarcimento, se la manda e si risponde. Il danneggiato, che nulla sa, né è tenuto a sapere del sistema di risarcimento dei danni (quantomeno dei criteri di risarcimento del danno alla persona) è dunque obbligato ad accettare l’offerta che gli verrà formulata dalla compagnia (che ci risulta avere uno scopo di lucro e non di beneficenza) nei confronti della quale dovrà avere una fiducia cieca e assoluta. Anche perchè, ove si dovesse rivolegere a un professionista per avere lumi circa la correttezza di quanto gli viene offerto, su tale consulenza o assistenza professionale non verrà riconosciuto alcun compenso. La differenza linguistica con il precedente testo è l’omesso riferimento al termine ambiguo di “danni accessori”. Questa volta il legislatore ha voluto fare le cose per bene e per non farci mancare niente, ha messo in chiaro che mentre ai medici legali devono essere riconosciuti i compensi per la perizia medico legale di parte che, oggi, in fase stragiudiziale, difficilmente vengono riconosciuti, non altrettanto si deve fare con gli avvocati, il cui lavoro e la cui professionalità, evidentemente, non esistono dal momento che sono forse intenti a perseguire i loro peculiari interessi invece di tutelare quelli propri dei clienti (per fortuna la Cassazione la pensa diversamente: 11606/2005; 2275/2006). Dalla lettura dell’art. 2043 c.c. “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” e dell’art. 1173 c.c. “le obbligazione derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” e dall’art. 2054 c.c. la materia della circolazione stradale veniva circoscritta all’ambito dei tre articoli sopra richiamati. L’art. 2056 c.c., valutazione dei danni, recita: ” il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli art. 1223, 1226 e 1227 c.c.”, attraverso il rinvio agli art. 1223, 1226 e 1227 c.c. il codice vigente ha reso comuni i principi del danno da inadempimento dell’obbligazione al danno da fatto illecito così rendendo sostanzialmente omogenea l’intera sfera della responsabilità civile. La sostanziale unitarietà della disciplina della liquidazione del danno, a prescindere dalla sua origine contrattuale o extracontrattuale, rende opportuno segnalare che la giurisprudenza della Corte Costituzionale si è orientata che eventuali limiti posti dalla legge all’ammontare del risarcimento del danno non sono conformi ai precetti costituzionali, quando impediscono un serio ed effettivo ristoro del danno subito. Il sistema di valutazione e determinazione dei danni, siano essi contrattuali o extracontrattuali, in virtù del rinvio operato dall’art. 2056 c.c., è composto dagli art. 1223, 1226 e 1227 c.c. in tema di responsabilità per inadempimento hanno in comune la funzione di adeguare il risarcimento al danno effettivamente subito dal danneggiato e porre in capo al responsabile le ripercussioni patrimoniale sfavorevoli che il danneggiato non ha il dovere di subire. Il danneggiato non deve subire ripercussioni patrimoniali, non vi deve essere differenza tra la situazione dannosa e la situazione ideale quale sarebbe stata nell’ipotesi in cui il fatto dannoso non si fosse verificato, sono le ripercussioni immediate e dirette del fatto stesso e rappresentano il limite massimo del risarcimento. Il risarcimento del danno comprende sia la perdita subita che il mancato guadagno, quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o del fatto illecito, al fine di ristabilire l’equilibrio economico turbato, restituendo al danneggiato la stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se l’inadempimento o l’illecito non si fosse verificato. Dall’entrata in vigore del Codice Civile fino al 1969 il danneggiato inviava una lettera di messa in mora alla controparte e venivano riconosciute le spese stragiudiziali sostenute, in caso di mancato composizione bonaria della controversia, il danneggiato poteva proporre l’azione giudiziale. Sono dovute perchè:
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deve essere riconosciuto al danneggiato il diritto di difesa garantito da dall’art. 24 della Costituzione;
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il principio di uguaglianza delle parti ai sensi dell’art. 3 della Costituzione;
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il danneggiato è il soggetto debole nel rapporto contrattuale con l’assicuratore:
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Cass. Civ. Sez. Unite 24.06.2008 n. 26973;
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Cassazione Civile Sezione II del 31.5.2005 n. 11606;
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Cassazione Civile Sezione III del 2.2.2006 n. 2275;
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Cassazione Civile del 19.12.2001 n. 15718;
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Cassazione Civile Sezione II del 11.5.1987 n. 4330.
L’intervento di un legale di fiducia è necessario nella fase stragiudiziale per dirimere divergenze sulla controversia, per la complessità della materia ed i numerosi interventi legislativi, ma soprattutto per garantire nella prima fase la regolarità del contraddittorio, ove la compagnia di assicurazione è economicamente più forte, ma anche tecnicamente organizzata e professionalmente attrezzata per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale. La lettera ex art. 22 L. 990/69 non è altro che un “filtro”a promuovere l’azione giudiziale, è essenziale alla stessa azione. Il legislatore ha inserito vari filtri come ad esempio in materia di lavoro subordinato privato e pubblico, in materia di giustizia sportiva, in materia di diritto societario, contenzioso sulle bollette telefoniche. La moltiplicazione dei filtri rende di estrema attualità il problema della difesa nella fase preliminare per il soggetto economicamente più debole sotto l’aspetto di chi sia il soggetto su chi debbano gravare i costi della difesa. Quindi deve riconoscersi il diritto alla difesa da parte del soggetto più debole del rapporto e la fase stragiudiziale non essendo di agevole applicazione e strettamente connessa con quella giudiziale che rende necessario l’intervento di un difensore anche in questa fase. Non vi è alcuna proporzione tra la forza economica del danneggiato e quella della compagnia di assicurazione. Il danneggiato oltre ad avere l’obbligo dell’onere della prova fin dal procedimento stragiudiziale, deve affrontare i costi per l’acquisizione delle prove documentali e dimostrare le proprie ragioni sia sull’an che sul quantum. Se le finalità dell’attività stragiudiziale è quella di giungere ad un possibile accordo transattivo, necessario per evitare il proliferare dell’azioni giudiziarie, dall’altra è obbligatorio per esperire la stessa azione. Il danneggiato senza l’assistenza di un difensore di fiducia è in grado di comprendere la correttezza del risarcimento dei danni subiti ed i rischi processuali dell’azione che vuole intraprendere? E’ auspicabile che anche la giurisprudenza di merito si uniformi a tale indirizzo giurisprudenziale indicato dalla Corte di Cassazione al fine di evitare differenti pronunce su materie simili, o meglio identiche, per ottenere un orientamento unanime, al fine di poter far adeguare le compagnie di assicurazioni al pagamento delle spese legali nella fase stragiudiziale anche nell’ipotesi in cui il risarcimento dei danni sia avvenuto prima del termine dei 60 giorni.