Cassazione Civile Sez. III 2 luglio 2021 n. 18810: il danno è stato valutato equitativamente nella misura del 20% del valore dell’immobile.
La questione.
Si discute se l’inquinamento dell’ILVA comprima il diritto di proprietà, inteso come «diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene», a causa della perenne esposizione degli immobili al fenomeno di immissioni di polveri minerali.
La decisione.
L’iter motivazionale non è agevole. La Suprema Corte parte da un preambolo e si sofferma sulla distinzione, ex artt. 1223 e 2056 cod. civ., tra fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, produttivo del danno e il danno stesso, da identificare nelle conseguenze pregiudizievoli di quel fatto, nella loro duplice possibile fenomenologia di «danno emergente» (danno «interno», che incide sul patrimonio già esistente del soggetto) e di «lucro cessante» (che, di quel patrimonio, è proiezione dinamica ed esterna), come tale apprezzabile sia in ambito patrimoniale che non patrimoniale (v. Cass. 17/01/2018, n. 901, in motivazione, pag. 27): perdita-danno emergente-sofferenza interiore, da un lato, e, dall’altro, mancato guadagno-lucro cessante-danno alla persona nei suoi aspetti esteriori/relazionali.
Spiega la Corte che il danno-conseguenza non è in re ipsa, ma deve essere allegato e provato. Questo il passaggio decisivo: rammenta un suo precedente (Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 576), ove, in estrema sintesi, affermava che se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria. Tuttavia, nel caso di specie, vi è obbligazione risarcitoria, perché la compromissione dominicale è (testuale) “indubitabilmente” (n.d.r.: quindi, in re ipsa) un danno conseguenza di natura patrimoniale, in quanto suscettibile di valutazione economica, a causa dalla limitazione delle possibilità di godimento degli immobili, in ragione, della limitazione delle possibilità di arieggiamento degli appartamenti, stante il penetrare in essi di polveri.
In tal senso la giurisprudenza della Cassazione ha già più volte riconosciuto che la compressione o la limitazione del diritto di proprietà o altro diritto reale, che siano causate dall’altrui fatto dannoso, sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivi la necessità di una spesa ripristinatoria (danno emergente) o di perdite dei frutti della cosa (lucro cessante), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento siano sopportate dal titolare con suo personale disagio o sacrificio (Cass. 17/12/2019, n. 33439; Cass. 26/09/2018, n. 22824; Cass. 27/07/1988, n. 4779; Cass. 29/11/2005, n. 25921). Senonchè, nel caso in questione, non viene in rilievo neppure l’aspetto soggettivo delle sofferenze (o disagi) interiormente vissute dai proprietari degli immobili in ragione delle limitazioni descritte, quanto piuttosto proprio la perdita delle oggettive potenzialità di godimento che, in mancanze delle immissioni illecite, gli immobili stessi per loro stessa destinazione sarebbero in grado di offrire. Esula, dunque, il profilo della configurabilità di un danno di carattere non patrimoniale conseguente all’illecito per lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione ed al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane. Per tali ragioni, in definitiva, non si violano i principi in materia di responsabilità extracontrattuale se si riconosce il diritto al risarcimento in mancanza di prova della sussistenza di un effettivo danno alla salute o di un danno materiale o da deprezzamento commerciale, danni, questi ultimi, mai chiesti dai proprietari dell’edificio.
Quindi, concludendo, la mancanza di un danno non patrimoniale conseguente alle immissioni intollerabili non esclude la configurabilità di un danno risarcibile di natura patrimoniale come conseguenza dell’illecito costituito dalle immissioni medesime; dall’altro, l’esclusa esistenza di danni materiali da deterioramento di strutture dell’edificio o di un danno da deprezzamento commerciale dell’immobile non comporta anche l’esclusione della possibilità di apprezzare un danno patrimoniale della diversa specie predetta (ossia da perdita di talune significative facoltà di godimento), economicamente valutabile, se non nel loro valore di scambio, quanto meno sul piano del valore d’uso.
La Corte supera anche la teoria del c.d. “preuso”, secondo la quale le polveri presenti oggi sono le stesse che si depositavano sui balconi trent’anni fa, di talchè, ciò che è stato considerato “tollerabile” per decenni non possa divenire all’improvviso “intollerabile”: invero, si è in presenza di un’attività illegittima di fronte alla quale non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio, ancorché minimo, all’altrui diritto di proprietà o di godimento, e non sono quindi applicabili i criteri dettati dall’art. 844 c.c., in tema di normale tollerabilità (Cass. 03/09/2018, n. 21554; 13/03/2007, n. 5844; 17281/2005; 1156/1995; 7411/1992).
Avv. Carmine Lattarulo ©