Cassazione Civile Sezione III 20 marzo 2015 n. 5590. Un paziente, dopo un delicato intervento chirurgico, veniva posto in un letto privo di protezioni e sponde benché avesse problemi di incontrollata mobilità degli arti; cadendo dal letto, riportò un trauma cranico ed una emorragia cerebrale che creava problemi di deambuazione, sino a farlo diventare tetraparetico, gravemente disartrico e bisognoso di assistenza continua perche impossibilitato a compiere alcun gesto della vita quotidiana. Successivamente decedeva. La Corte di Cassazione ha ribadito che la natura facile o difficile della prestazione non incide sulla ripartizione dell’onere probatorio ma rileva solo sul piano del grado di colpa del professionista ( nel senso che per gli interventi più complessi il professionista può essere esente da responsabilità ove sia incorso in colpa lieve ) ma non rileva affatto sul piano della ripartizione degli oneri probatori. A questo proposito, la Corte ha recentemente espresso il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità civile derivante da attività medico-chirurgica, il parente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del professionista, restando a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestatozione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problematica di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartitone dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutatone del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestatone, in conformità con il principio dì generale “favor” per il creditore danneggiato cui f ordinamento è informato” (Cass. n. 22222 del 2014); ha così ribadito che l’onere probatorio è così ripartito : grava sul paziente l’onere di dimostrare il rapporto col medico o con la struttura sanitaria e il peggioramento delle sue condizioni a seguito dell’intervento, ovvero l’esistenza di un nesso causale tra l’intervento ed il danno riportato, mentre grava sulla struttura, anche in caso di operazioni di particolare difficoltà, l’onere di fornire la prova liberatoria, ovvero di provare che l’aggravamento delle condizioni del paziente, ove obiettivamente verificatosi, fosse dipeso da cause ad essa non imputabili, ovvero a cause esterne, non riconducibili alla struttura (Cass. n. 8826 del 2007, Cass. n. 24791 del 2008); che, ai fini della sussistenza del nesso causale, 1‘onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale – quando l’impegno curativo sia stato assunto senza particolari limitazioni circa la sua funzionalizzazione a risolvere il problema che egli presentava – si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, o dal suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente (in questo senso Cass. n. 20904 del 2013). Pertanto, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o 1’aggravamento della patologia in rapporto causale con l’intervento medico ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. n. 577 del 2008); si rilevi che il suddetto principio è stato ripreso da numerose altre pronunce che hanno puntualizzato che il danneggiato abbia l’onere di allegare qualificate inadempienze del medico o della struttura sanitaria, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare che nessun nmprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno). Spetterà, quindi, al medico o alla struttura ( in questo caso è stata evocata in giudizio la sola struttura sanitaria) dimostrare non soltanto di non aver compiuto alcun errore nella esecuzione dell’intervento ma anche che robiettìvo aggravamento sia dovuto a causa non imputabile alla struttura, esterna quindi rispetto alla esecuzione dell’intervento stesso. In definitiva, le regole di distribuzione degli oneri probatori fanno sì che, a tutela del paziente che si affida ad una struttura sanitaria per sottoporsi ad un intervento chirurgico, l’onere probatorio del medico, nel fornire la prova liberatoria dalla sua responsabilità è correttamente adempiuto laddove questi non si limiti a provare la correttezza della propria prestazione, ma sia in grado di dimostrare anche, in positivo, che l’esito infausto è dovuto ad un altro evento individuato (preesistente o sopravvenuto) indipendente dalla propria volontà e sfera di controllo. Qualora rimanga incerta la causa dell’esito infausto, la situazione processuale di sostanziale incertezza circa l’assenza di colpa del medico, e circa le cause dell’aggravamento, non può esser fatta ricadere sul paziente (che non è, oltretutto, il soggetto che dispone degli strumenti e che ha accesso a tutte le informazioni per poter accertare la vera causa del suo aggravamento), ma ricade sul sanitario o sulla struttura, che non riesce a liberarsi dalla sua responsabilità. Si precisa che la prova liberatoria potrebbe anche consistere nella individuazione di un fatto, imprevisto e imprevedibile ma pur sempre riconducibile alla condizione fisica del paziente, il quale potrebbe in ipotesi avere un crollo della proprie condizioni generali non prevedibile a priori. La sentenza si distingue anche per un altro rilievo in punto di prescrizione. Al danneggiato che agisce per il danno diretto subito a seguito di un intervento chirurgico nei confronti della struttura sanitaria, si applica il termine di prescrizione decennale, essendo la responsabilità della struttura sanitaria verso i propri pazienti inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale. La stessa durata ha la prescrizione se il diritto al risarcimento si trasferisce, a causa del decesso della vittima, ai suoi congiunti ed eredi. Viceversa, il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni da loro direttamente subiti a causa delTcsito infausto dell’operazione subita dal danneggiato principale, si colloca nell’ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto al termine di prescrizione quinquennale previsto per tale ipotesi di responsabilità dalPart. 2947 c.c. , non potendosi giovare del termine più lungo per far valere i propri diritti del quale gode il danneggiato principale in virtù del diverso inquadramento, contrattuale, del suo rapporto con il soggetto responsabile. Cosa diversa dalla durata della prescrizione è l’individuazione del momento di decorrenza iniziale di essa, che in ipotesi potrebbe iniziare a decorrere in un momento successivo all’ evento afflittivo subito dalla vittima principale, qualora uno dei parenti lamentasse che il danno iure proprio si è verificato, in tutto o in parte, solo successivamente alla operazione con esito infausto, per raggravarsi delle condizioni della vittima, per le ricadute della invalidità post-operatoria sulla vita familiare e l’aumento dei degli impegni legati ala necessità di assistenza del congiunto, per la depressione sopraggiunta insieme alla consapevolezza del radicalizzarsi e cronicizzarsi di una condizione di infermità in capo al danneggiato principale.
Carmine Lattarulo