Corte di cassazione – sezione III penale – sentenza 2 dicembre 2013 n. 47820. L’avere scaricato un numero ingente di file pedopornografici con un programma di file sharing non basta per far scattare la condanna per diffusione del materiale. Si precisa che per file shiring s’intende una condivisione di file al’interno di una rete di calcolatori umani comuni (le più famose reti sono gnutella, opennap, bittorent, edonkey, kadmel). Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 47820/2013, accogliendo il ricorso di un uomo originario di Lecce condannato in Appello. La Suprema corte ricorda che “affinché sussista il dolo del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3, occorre provare che il soggetto abbia avuto, non solo la volontà di procurarsi materiale pedopornografico, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo, desumibile da elementi specifici e ulteriori rispetto al mero uso di un programma di file sharing”. Spiega, infatti, la sentenza: “Una diversa interpretazione, secondo cui la semplice volontà di procurarsi un file illecito utilizzando un programma tipo Emule o simili, implicherebbe, di per sé stessa e senza altri elementi di riscontro, sempre e necessariamente anche la volontà di diffonderlo, porterebbe a configurare una sorta di presunzione iuris et de iure di volontà di diffusione o una sorta di responsabilità oggettiva, fondate esclusivamente sul fatto che, per procurarsi il file, il soggetto sta usando un determinato programma di condivisione e non un programma o un metodo diversi”. Ed è stato proprio questo il parametro utilizzato per la condanna basatasi sul particolare tipo di programma utilizzato e sul fatto che il computer fosse spesso accessibile anche durante la notte, così divenendo, nella ricostruzione del giudice di appello, un veicolo di diffusione delle immagini al punto da far presumere il dolo dell’imputato che invece andava provato. Ben potendo, infatti, la condotta e la volontà dell’imputato essere unicamente quella di approvvigionarsi del materiale per sé e non per diffonderlo. Sentenza annullata dunque e giudizio da rifare.
L’uso del file sharing non è sinonimo di diffusione di materiale pedopornografico.
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