Cassazione Civile Sezione III 22 settembre 2015 n. 18611. Provato il pregiudizio al diritto al lavoro, costituzionalmente garantito, di soggetto che propone una attività imprenditoriale lecita, che, tuttavia, esigeva la integrità psicofisica, è irrilevante, secondo la Corte, che l’impedimento provocato dal fatto lesivo, sia riferibile ad un progetto di attività lavorativa, se il fatto stesso nella sua entità impedisce per sempre qualsiasi possibile altra alternativa di lavoro. Sfortunatamente per altri danneggiati, la Suprema Corte aveva richiesto criteri molto rigidi per il riconoscimento di tale posta: 1) prova del pregresso svolgimento di una attività economica (Cass. Civ. Sez. III 12 febbraio 2015 n. 2758; Cassazione Civile Sezione III 30 settembre 2014 n. 20548); 2) concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico (Cass. Civ. Sez. III 27 novembre 2014 n. 25211; Cass. Civ. Sez. III 1 aprile 2014 n. 7524; Cass. Civ. Sez. III 29 luglio 2014 n. 17220); 3) quantificazione della misura mediante CTU, sebbene condizione solo necessaria, ma non sufficiente, alla stregua dei due rigidissimi presupposti suddetti (Cass. Civ. Sez. III 29 luglio 2014 n. 17220), non sussistendo alcun rigido automatismo tra lesione e perdita di guadagno (Cass. Civ. Sez. VI ordinanza 27 giugno 2013 n. 16213Cass. Civ. Sez. III 29 aprile 2006 n. 10031).
Ulteriore revirment su danno morale ed esistenziale (rispetto alla Sezioni Unite dell’11 novembre 2008 n. 26972): secondo la III Sezione, liquidato il danno biologico, sarebbe errato non procedere alla considerazione della perdita delle qualità della vita del macroleso, che vive solo attingendo alla solidarietà dei suoi cari, degli amici, dei volontari, ma che certamente possono dare un aiuto alla sopravvivenza, ma non già a rimuovere la perdita di quelle qualità personali e di partecipazione che sono chiaramente descritte nell’art.3 della Costituzione. Non si tratta dunque di una duplicazione di voci di danno, ma della negazione del diritto del macroleso a ricevere un equo ristoro per il risarcimento della perdita della sua dignità di persona e di diritto alla vita attiva. Condizioni di vita drammatiche del grande invalido meritano una migliore attenzione rispetto al calcolo tabellare dove la personalizzazione è pro quota, mentre deve essere ad personam. Del pari ammissibile, secondo la Corte di Cassazione, il danno biologico per la inabilità temporanea futura in relazione ai vari interventi chirurgici, necessari nel tempo, per assicurarcela efficienza fisica e le funzioni vitali.
La sentenza, pertanto, non nasconde alcune perplessità, se non altro perchè in netto contrasto con arresti precedenti.
Avv. Carmine Lattarulo