Cassazione Penale Sezione IV 13 marzo 2015 n. 10972. Applicazione chiara della sentenza delle Sezioni Unite 10.7.2002 n. 27 (sentenza “Franzese”). Con tale pronuncia, la Corte di Cassazione, chiamata a dìrimere il contrasto tra le due posizioni esistenti all’interno della giurisprudenza di legittimità per la sussistenza del nesso di causalità, di cui una richiedeva l’esistenza di un elevato grado di probabilità, “vicino alla certezza” “quasi prossimo a cento” e l’altro considerava sufficienti anche solo “serie ed apprezzabili probabilità’ di successo”, ha operato una completa e accurata ricostruzione dello statuto della causalità penalmente rilevante, rifiutando la seconda alternativa di cui sopra (che esprime coefficienti dì probabilità mutevoli, indeterminati, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard davvero esigui) ma, specialmente, opportunamente osservando che il contrasto interpretativo cui si è accennato doveva essere risolto in termini di concreta verificabilità processuale, di accertamento nel processo, procedendo nell’operazione ermeneutica alla stregua dei comuni canoni di certezza processuale, non diversamente di quanto avviene negli altri campi del diritto penale. In particolare la Corte aveva chiarito che la causalità omissiva è sostenuta non solo in presenza di leggi scientìfiche universali o di leggi statistiche che esprimono un coefficiente prossimo alla certezza (ma che pur sempre impongono di accertare la ìrrilevanza di eventuali spiegazioni diverse eventualmente dedotte), ma può esserlo altresì quando ricorrano criteri medio bassi di probabilità cd. frequentista, nulla escludendo che “anch’essì, se corroborati dai positivo riscontro probatorio … circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possano essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento”. Distinguendo la mera probabilità statistica dalla probabilità logica, le Sezioni Unite avevano messo l’accento sul raggiungimento da parte dell’autorità di un risultato di “certezza processuale” che, “all’esito del ragionamento probatorio, sia in grado di giustificare la logica conclusione che, tenendosi l’azione doverosa omessa, il singolo evento lesivo non sì sarebbe verificato o si sarebbe inevitabilmente verificato, ma in epoca significativamente posteriore o (per come) con minore intensità lesiva”. In forza di questo principio, la Corte di Cassazione (in sede penale) ha ritenuto responsabile un medico che aveva omesso i necessari accertamenti, consistenti in un monitoraggio del paziente che avrebbero potuto scongiurare il decesso per infarto. Pur non spingendosi a ritenere certa la sopravvivenza del deceduto, ha espresso un giudizio che trova fondamento in una consolidata acquisizione della scienza medica, ormai divenuta massima di esperienza, secondo cui le possibilità dì superare o contenere i danni dell’infarto sono legate alla tempestività dell’intervento, tempestività che ben era sussistente in concreto se solo ci si fosse comportati secondo le linee guida. Sarà banale dirlo per gli addetti i lavori, ma è opportuno ricordare che questa sentenza di condanna riviene in sede penale, laddove, si consideri che, in sede civile, il medico risponde già secondo la regola del “più probabile che non”.
Avv. Carmine Lattarulo