Corte di cassazione – Sezione I penale – Sentenza 18 dicembre 2013 n. 51059. Non merita l’aggravante dei “futili motivi” il padre di fede islamica che cerca di uccidere la figlia diciassettenne, provando a soffocarla con una busta di plastica, perché lo aveva “disonorato” intrattenendo una relazione sessuale con un ragazzo italiano. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 51059/2013, accogliendo parzialmente il ricorso dell’uomo. I fatti erano andati così. Il giorno prima il tentato omicidio, il fidanzato, residente ad Arezzo, era venuto a trovare la ragazza a Milano. Inaspettatamente però la sera stessa il padre, che si era allontanato per un periodo di tempo da casa, era tornato. L’uomo però dopo aver scoperto il ragazzo nascosto sul balcone si era limitato a metterlo alla porta. La mattina seguente, dopo che la moglie era uscita di casa, era entrato nella camera della figlia, ancora a letto ma sveglia, e aveva provato a soffocarla con un sacchetto di plastica pronunciando frasi come “sei il disonore… non dovevi fare questo”. La ragazza l’aveva pregato di punirla ma non di ucciderla ma il padre le aveva risposto che le botte non servivano, che doveva pagare per quello che aveva fatto e che non gli importava di finire in galera. A quel punto la ragazza era riuscita a scappare e si era rifugiata a casa della zia. Secondo gli ‘ermellini’, però, “per quanto i motivi che hanno mosso l’imputato non siano assolutamente condivisibili nella moderna società occidentale gli stessi non possono essere definiti futili, non potendosi definire né lieve né banale la spinta che ha mosso l’imputato ad agire”. E la circostanza che il padre abbia meditato il delitto per una notte intera integra un lasso di tempo troppo breve per parlare di “premeditazione” e contestare la relativa aggravante. Con riguardo alla premeditazione, la circostanza aggravante, spiega infatti la sentenza, è integrata da due elementi: uno, ideologico o psicologico, consistente nel perdurare, nell’animo del soggetto, di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile fra l’insorgenza e l’attuazione ditale proposito. <<Nel caso in esame – scrivono i giudici – non è ravvisabile, l’elemento ideologico, perché aver per tutta la notte rimuginato su come punire la ragazza non è indicativo di una risoluzione criminosa ferma e irrevocabile presa dall’imputato un certo tempo prima dell’attuazione dei proposito>>. Mentre la circostanza aggravante dei motivi futili sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno <<così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità dei reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per io sfogo dl un impulso criminale>>. <<Nel caso in esame l’imputato ha agito perché si è sentito disonorato dalla figlia, la quale non solo aveva avuto rapporti sessuali senza essere sposata e da minore, ma aveva avuto tali rapporti con un giovane dl fede religiosa diversa, violando quindi anche i precetti dell’Islam>>, un motivo che per Piazza Cavour non è né lieve né banale.
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