Cassazione Civile Sez. III 8 novembre 2019 n. 28814: prevale la scelta di ridurre al minimo il rischio della vita rispetto alla probabilità della negazione del consenso.
La questione.
Si tratta di stabilire se l’asportazione dell’intera mammella sinistra (dovuta alla scoperta, nel corso dell’intervento originariamente programmato di asportazione di alcune cisti, della natura non benigna delle stesse) sia scelta operatoria in violazione del consenso informato, oppure corretta, perchè compiuta in forza dello stato di necessità derivato dall’accertamento, solo in fase operatoria, della particolare gravità della patologia riscontrata, suscettibile di rapida estensione e perché compiuta altresì tenendo conto della elevata probabilità che la diffusione ulteriore delle cellule cancerose rendesse vane le terapie chemio e radioterapiche.
La decisione.
Secondo il Supremo Collegio, vi è coerente affermazione di sussistenza del consenso informato in ordine all’asportazione delle cisti e condivisibile riferimento allo stato di necessità in cui il medico operante si trova ad agire, dovendo scegliere tra: 1) l’attendere il risveglio della paziente, in anestesia totale, per poterla informare della necessità di procedere ad un intervento operatorio comunque necessario, per effettuarlo con ritardo di diversi giorni, e nuova ed invasiva operazione (con reiterazione dell’anestesia totale), essendo notorio che il recupero della piena coscienza e consapevolezza dopo un’anestesia totale non è conseguenza immediata del risveglio; 2) oppure l’effettuare immediatamente l’asportazione del tessuto interessato dalle cellule cancerose, con riduzione al minimo dell’esposizione a rischio della vita del paziente e ampia possibilità di riduzione delle necessarie conseguenti terapie.
La Cassazione, aveva, infatti, precedentemente affermato (Cass. n. 16336 del 28/04/2018) che «il consenso informato al trattamento medico non può mai essere presunto ma deve essere espresso, impingendo esso nel diritto del paziente ad autodeterminarsi e, conseguentemente, ad esprimere egli stesso, personalmente e direttamente, le scelte che solo lui al riguardo appartengono e rispetto alle quali nessun automatismo è consentito (e tanto meno alcuna surrogazione da parte di terzi, ancorché qualificati) in relazione alla convenienza o meno del trattamento sul piano strettamente medicosanitario, salvo che ricorra uno stato di imminente necessità».
Otto anni prima (Cass. n. 16543 del 28/07/2011), con affermazione non meno convincente, aveva già indicato che «… la mancanza di richiesta del consenso informato costituisce violazione del diritto della persona a vedere tutelato il suo diritto alla salute con la dignità propria dell’essere persona. La richiesta va sempre e comunque fatta a meno che non si tratti di un caso di urgenza o di trattamento sanitario obbligatorio».
Si rilevi, altresì, il richiamo alla legge 23/12/1978, n. 833 istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, ed in particolare all’art. 33, che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo non è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità di cui all’art. 54 cod. pen. (Cass. n. 11749 del 15/05/2018).
Avv. Carmine Lattarulo ©