Cassazione Civile Sez. III 17 giugno 2022 n. 19608: non integrano un interesse oggettivamente valutabile né la maggiore speditezza del procedimento, né la ricorrenza di presupposti processuali più gravosi.
La questione.
Si discute se sia possibile agire in un distinto secondo giudizio per ottenere il risarcimento del danno da lesioni, dopo aver celebrato un primo giudizio, conclusosi con sentenza passata in giudicato, nel quale era stata accolta la domanda attinente il danno al veicolo per il medesimo evento.
La decisione.
La Cassazione ha affermato che il danneggiato che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile, non può, in presenza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta aggrava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario», con la precisazione che «non integrano un interesse oggettivamente valutabile ed idoneo a consentire detto frazionamento, di per sé sole considerate, né la prospettata maggiore speditezza del procedimento dinanzi ad uno anziché ad altro dei giudici aditi, in ragione della competenza per valore sulle domande risultanti dal frazionamento, né la semplice ricorrenza di presupposti processuali più gravosi per l’azione relativa ad una delle componenti del danno, soprattutto in caso di intervalli temporali modesti» (Cass. n. 8530/2020).
Il Supremo Collegio si rifà alla giurisprudenza delle Sezioni Unite n. 4090/2017, le quali affermarono il principio secondo cui «le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata».
Questo principio non è chiaro in seno alla Suprema Corte, ove è stato altresì osservato che non esiste un divieto di parcellizzazione del credito, quando le domande separate attengono ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso1.
Deriva da quanto precede che la sentenza in commento è controversa, perché la parcellizzazione del credito sussiste in presenza di una pluralità di interessi al frazionamento:
- è legittimo frazionare la richiesta dei danni al veicolo da quella relativa alle lesioni2: la liquidazione del danno alla persona deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, con la precisazione che quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi3;
- la richiesta di danno alla persona soggiace a termini di proponibilità (90 giorni dalla visita) diversi da quelli previsti nella richiesta di danno a cose [30 giorni (nel cid), 60 giorni (negli altri casi), dalla richiesta];
- la richiesta di danno alla persona soggiace a termini di prescrizione (5 anni) diversi da quelli previsti nella richiesta di danno a cose (2 anni);
- vi è un interesse del danneggiato alla tutela frazionata, perché, dopo aver ottenuto la sentenza avente efficacia di cosa giudicata sull’accertamento della responsabilità, ha diritto ad ottenere una transazione: infatti, non esistono norme dell’ordinamento che impongono al danneggiato di agire forzosamente dinanzi all’autorità, la quale resta una merà facoltà ex art. 24 Cost. ed, in questo senso, il divieto di parcellizzazione del credito diventerebbe una imposizione anticostituzionale ad agire in giudizio;
- l’ordinamento prevede, quali uniche fattispecie estintive del diritto risarcitorio, la prescrizione e la decadenza, oltre ovviamente all’adempimento, mentre il divieto di parcellizzazione verrebbe ad introdurre surrettiziamente un’ulteriore ipotesi estintiva del diritto, non espressamente contemplata dal nostro ordinamento; anche la rinuncia deve essere espressa o, comunque, confortata da un elemento preciso ed univoco; pertanto, nell’eventualità in cui ci si trovi di fronte ad una richiesta parziale avente ad oggetto solo una delle voci di danno scaturenti da un illecito, da ciò non pare lecito desumere la rinuncia a far valere le altre poste risarcitorie;
- il credito risarcitorio aquiliano ex artt. 2043 e 2054 c.c. è, per sua natura, un credito patrimoniale, come tale pacificamente divisibile ex artt. 1314 e ss. cc, , nonché liberamente trasferibile a terzi ex artt. 1260 e ss. cc (si pensi alla cessione di credito verso l’autoriparatore e la conseguente scelta del cessionario di agire se/come/quando rispetto al cedente che avanza crediti risarcitori non ceduti, ad esempio per minorazioni fisiche) e persino cedibile solo parzialmente, come previsto dall’art. 1262 comma II cc;
- nessuna delle disposizioni che disciplinano contenuto, termini e modalità della richiesta risarcitoria prescrive che la stessa debba essere omnicomprensiva, ovverosia esaurire tutte le voci di danno derivanti dal sinistro; lo stesso articolo 148 d. lgs 209/2005 fa riferimento ai soli danni a cose (comma I) e al danno biologico (comma II), senza prevedere alcunché in relazione alle altre plurime voci di danno che pur possono scaturire da un sinistro; pare, pertanto, ragionevole ritenere che anche le voci non contemplate dall’art. 148 possano essere richieste non contestualmente al danno a cose e/o al danno biologico di lieve entità, senza per questo essere pretermesse; l’art. 6 dPr 254/2006, nel dare attuazione all’art. 148 d. lgs. 209/2005, mai individua nell’esaustività della richiesta, uno dei requisiti sine qua non della stessa e non prescrive alcuna conseguenza sanzionatoria per il caso di omissione di una o più voci di danno;
- l’onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, potrebbero avere diversa natura (ad esempio, retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente tali da complicare e ritardare di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre non in un alleggerimento bensì in un allungamento dei tempi del processo (monstre), dovendo l’istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo; è verosimile che per questa via il processo (lungi dal costituire un agile strumento di realizzazione del credito) finisca per divenire un contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell’uso della giurisdizione4;
- tutto ciò sarebbe in netto contrasto anche col disposto normativo di cui all’art. 31 c.p.c., ove è previsto come la domanda accessoria possa ma non debba essere proposta davanti al Giudice territorialmente competente per la domanda giudiziale.
Avv. Carmine Lattarulo ©
1 Cass. Civ. Sez. II, ordinanza 27 giugno 2018 n. 16993; Cass. Civ. Sez. Lav. 24 aprile 2020 n. 8165; Cass. Sez. Un. 16/02/2017 n. 4090; Cassazione civile, sez. III 26/09/2016 n. 18782; Cass. Civ. Sez. III 19 marzo 2015 n. 5491.
2 Cassazione Civile Sez. III 29 gennaio 2019 n. 2330.
3 Cass. Sez. 3., sent. 29 dicembre 2014, n. 26897.
4 Cass. Sez. Un. 16/02/2017 n. 4091; Cass. Sez. Un. 16/02/2017 n. 4090.